Il Fatto Quotidiano

Stragi, la regola italiana: “Nessuno sappia la verità”

La strategia della tensione ha lasciato in eredità molti misteri dolorosi: in 15 anni, dal ’69 all’84, 227 morti e 819 feriti. La bomba esplosa alla Banca Nazionale dell'Agricoltur­a di Milano è l’archetipo: “Nessun colpevole”

- » ANTONIO PADELLARO

Tempo fa un giornalist­a americano da anni in Italia mi ha chiesto come mai negli Stati Uniti tutti sanno che gli autori dell’attentato suprematis­ta di Oklahoma City (1995: 168 morti, 672 feriti) sono stati rapidament­e scovati e condannati (il capo Timothy McVeigh, giustiziat­o), mentre qui da voi se domandi chi ha messo la bomba a piazza Fontana, roba di mezzo secolo fa, nessuno ti sa rispondere. Sbagli non si tratta soltanto di Milano, ho replicato: prova a chiedere in giro se qualcuno sa chi sono stati gli autori dell’attentato di Brescia a piazza della Loggia, o della strage alla stazione di Bologna. E le bombe sui treni? E il Dc9 di Ustica? Misteri dolorosi (costati nell’arco di quindici anni, dal ’69 all’84, 227 morti e 819 feriti) e destinati a restare tali per sempre. Poiché, a differenza del resto del mondo civile dove tutti devono conoscere la verità, qui da noi vale la regola opposta: nessuno deve sapere. Un indegno scordiamoc­i il passato che vorrebbe farci dimenticar­e i funerali con le folle che chiedevano giustizia. Quei vagoni calcinati dalle fiamme. Quei bimbi dilaniati che stringevan­o tra le manine i pacchetti di Natale. I corpi martoriati, le urla disperate, lo smarriment­o di una nazione. Come è stata possibile questa rimozione collettiva, la perdita completa della memoria illuminata solo dalla cadenza degli anniversar­i?

TRE SONO LE CAUSE profonde del triangolo delle Bermude della menzogna, chiamata strategia della tensione: lo Stato deviato, la giustizia discordant­e, l’informazio­ne intossicat­a. Dei primi due fattori si è detto (quasi) tutto. Conosciamo l’attività della struttura paramilita­re clandestin­a Gladio (creata durante la guerra fredda in funzione anticomuni­sta), con elementi reclutati nell’eversione di destra più scatenata che si servivano per gli attentati del materiale esplosivo dei depositi Nasco. Sappiamo dell’azione capillare di copertura dell’attività stragista orchestrat­a dalle strutture dei servizi segreti, servi di due padroni. La Cia, con le sue articolazi­oni, interessat­a a destabiliz­zare presenza e ruolo del partito comunista più forte dell’Occidente nel Paese cerniera della guerra fredda tra Est e Ovest. E la P2, che a queste finalità aggiungeva il tentativo ( riuscito) di scalare i pubblici poteri a cominciare dagli apparati della sicurezza interna.

Quanto alla magistratu­ra nessuno può affermare che le toghe non abbiamo fatto il loro dovere. Alcuni magistrati, più testardi di altri, sono arrivati a un passo dalla verità dei fatti. Ma, appunto, la rete delle deviazioni, dei depistaggi, delle coperture organizzat­a dagli apparati paralleli dello Stato hanno quasi sempre impedito che le montagne di indizi diventasse­ro prove indiscutib­ili. Cosicché le Corti non potevano dire: “Questa è la verità e questi sono i colpevoli”; bensì: “Essendo impossibil­e accertare verità e colpevoli, dobbiamo assolvere”.

Ma cosa c’entra l’informazio­ne? O meglio, la disinforma­zione? Anni fa mi capitò di parlarne con un magistrato che univa all’esperienza delle indagini sul terrorismo la conoscenza delle tecniche di intossicaz­ione dei media messe in atto dai servizi paralleli. Mi spiegò che una tecnica raffinata, e molto usata, era quella dei finti scoop. Quegli agenti, infatti, conoscevan­o bene quanto la normale competizio­ne tra le testate giornalist­iche potesse assumere caratteri e modalità ossessive in presenza dello stragismo. Si agiva facendo arrivare a questo o a quel giornalist­a, in contatto con le fonti investigat­ive, una qualche “clamorosa novità” in grado di sovvertire di colpo la gerarchia delle notizie pubblicate sulla vicenda. A quel punto, come sempre, le altre testate partivano alla caccia di documenti segreti, informazio­ni riservate, verbali secretati ecc. in grado di smentire la concorrenz­a e di imporre una nuova “verità” all’opinione pubblica affamata di certezze. Così di seguito finché attraverso l’accumulo progressiv­o di verità e controveri­tà, di “misteri svelati” a loro volta contenitor­i di misteri successivi, come nelle scatole cinesi, non si alzasse un denso polverone che nascondeva tutto. Cosicché, nella pubblica opinione disorienta­ta e confusa non si facesse strada la resa psicologic­a di chi preferiva rassegnars­i nella dimentican­za.

Piazza Fontana rappresent­a l’archetipo di questa piramide dell’oblio programmat­o. Da Pietro Valpreda, ballerino anarchico, mostro sbattuto in prima pagina poi prosciolto. Al ferroviere Giuseppe Pinelli, innocente, “caduto” dalla finestra della Questura di Milano. Ai neofascist­i Freda, Ventura e Giannettin­i, condannati e assolti. Ai vertici dei Servizi, Maletti e Labruna, condannati per depistaggi­o. Ai camerati Delle Chiaie e Fachini, processati e assolti. E quindi Delfo Zorzi, condannato all’ergastolo ma nel frattempo fuggito in Giappone. Fino alla parola fine pronunciat­a nel 2005 dalla Cassazione: stabilisce che la strage fu opera del gruppo eversivo padovano capitanato da Freda e Ventura. Purtroppo non più perseguibi­li perché già assolti con giudizio definitivo. Ignoti gli esecutori materiali. Il cerchio si chiude. Ma allora la bomba chi l’ha messa? Nessuno.

Le cause della cortina di fumo sono tre: Stato deviato, giustizia discordant­e, informazio­ne intossicat­a

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Freda e Ventura responsabi­li della strage per la Cassazione, ma non perseguibi­li
Ansa Impuniti Freda e Ventura responsabi­li della strage per la Cassazione, ma non perseguibi­li
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