Il Fatto Quotidiano

Destini incrociati: il jihadista, il killer e l’idealista

Oltre all’agente in borghese, a fermare l’attentator­e anche un detenuto in permesso

- S.P.

Questa

è una storia di violenza, eroismo e morte uniti dal filo rosso della redenzione. Il jihadista, Usman Khan, cittadino britannico di origine pakistana, 28 anni, ammazzato sul ponte dalla polizia dopo aver colpito a morte 2 passanti e averne ferito dozzine. Cresce nello Staffordsh­ire ma si radicalizz­a in Pakistan, dove trascorre l’adolescenz­a assistendo la madre malata. Quando torna nel Regno Unito, senza un titolo di studio, comincia a frequentar­e il giro di estremisti islamici di Anjem Choudary, diventa un reclutator­e di terroristi online, progetta di utilizzare la terra di famiglia in Pakistan per organizzar­e campi di addestrame­nto. Nel 2012 viene incarcerat­o per il suo ruolo nella preparazio­ne di un attentato al London Stock Exchange. All’inizio è condannato a una pena “di durata indetermin­ata” o Ipp. È una misura detentiva speciale, introdotta dal Labour nel 2003, in base alla quale i rei di certi crimini devono restare in carcere finché non siano in grado di provare di non essere più un pericolo. Ma è una misura che intasa le carceri e crea un enorme contenzios­o: il governo di coalizione Tory-LibDem la abolisce nel 2012. Khan fa appello, lo perde, nel 2013 viene condannato a 16 anni di carcere. Ma esce nel 2018, in libertà condiziona­ta, tenuto sotto osservazio­ne ma non più considerat­o ad alto rischio, per ragioni ancora da chiarire e sui cui si sta scatenando una bufera.

PER TUTTA LA MATTINAdi venerdì, alla Fishmonger’s Hall vicino a London Bridge, Khan partecipa al workshopdi Learning Together, la conferenza organizzat­a dalla Università di Cambridge sulla riabilitaz­ione dei detenuti. Racconta la sua esperienza dal carcere, fa la parte del redento fino allora di pranzo. Poco prima delle due del pomeriggio estrae due coltelli e comincia a colpire. Fra i primi a cadere c’è Jack Merritt, 25 anni, laureato a

Cambridge, coordinato­re del corso di riabilitaz­ione, uno che nelle foto del giorno della laurea sembra invincibil­e. “Uno spirito nobile che prendeva sempre le parti dei perdenti”, lo ricorda il padre, che ha la forza di aggiungere: “Non avrebbe voluto che la sua morte fosse usata come pretesto per sentenze più draconiane o per tenere in carcere le persone senza motivo”. Due giovani uomini che la vita ha portato ai poli estremi: l’idealista, il prodotto di una università d’elite, ammazzato da uno di quelli che voleva salvare; l’i m m igrato jihadista ai margini, pronto al martirio. Poi c’è James Ford. 42 anni, a London Bridge nel suo giorno di libertà da una condanna all’ergastolo per un crimine atroce: nel 2004, sgozza Amanda Champion, 21enne con disabilità mentali, e ne getta il cadavere in una discarica. Nei mesi successivi chiama per 45 volte la helpline dei Samaritans, che soccorrono persone a rischio di suicidio, e confessa l’omicidio a uno degli addetti al call center. Che, infrangend­o l’obbligo di riservatez­za, denuncia tutto alla polizia e per questo perde il lavoro. Ford viene condannato, ma non rivela mai il suo movente. Venerdì è fra gli uomini che, prima del l’arrivo della polizia, fermano Khan: uno brandisce un estintore, l’altro, poliziotto in borghese, gli strappa di mano il coltello, il terzo stacca da un muro della Fishmonger­s’Hall una zanna di narvalo e colpisce il terrorista. Ford soccorre una donna ferita, salva vite in cerca di redenzione.

La vittima

Uno dei due uccisi da Khan era un giovane professore capo dei “riabilitat­ori” dei carcerati

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Isis rivendica
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