Versati 300 mila euro dai vertici di Menarini
Nonindagati Oltre ai fratelli a capo del gruppo farmaceutico, soldi da Onorato (Moby), British Tobacco e Gavio (Autostrade)
Le perquisizioni della Guardia di Finanza disposte nell’ambito dell’inchiesta fiorentina su Alberto Bianchi e altri sono proseguite anche ieri.
Le fiamme gialle da due giorni bussano alla porta dei finanziatori dell’allora cassaforte del renzismo, la Fondazione Open. Nessuno dei donatori è indagato e ai finanzieri hanno consegnato tutta la documentazione contabile per dimostrare che i versamenti erano in chiaro e regolarmente registrati.
LE PERQUISIZIONI sono state disposte dai pm Luca Turco e Antonino Nastasi nell’ambito d el l’inchiesta su Alberto Bianchi - ex presidente della Open - accusato di finanziamento illecito e traffico di influenze: al centro dell’inchiesta c’è un incarico per un contenzioso con Autostrade affidato nel 2016 al suo studio legale dalla Toto Costruzioni Generali.
Indagato ma solo per finanziamento illecito e per altre vicende anche Marco Carrai, l’imprenditore fiorentino, già membro del Cda della stessa Open. La Procura è quindi convinta che la Fondazione abbia agito come “articolazione di partito politico”. E così due giorni fa sono state perquisite le abitazioni private di Lucia e Alberto Giovanni Aleotti, figli del patron della Menarini. Durante la perquisizione le fiamme gialle sono entrate anche negli uffici dei due membri della famiglia presso la sede della multinazionale del farmaco.
La Menarini infatti non ha mai finanziato la Fondazione Open, ma le donazioni sono state fatte da persone fisiche: ossia da Lucia, Alberto Giovanni e altri due membri della famiglia Aleotti. Era l’inizio del 2018 e sono stati versati, dalle singole persone 75 mila euro a testa. Per un totale di 300 mila. Ai finanzieri gli Aleotti hanno consegnato quindi copia dei documenti contabili per dimostrare la liceità della donazione. Perquisito due giorni fa anche l’armatore Vincenzo Onorato, presidente della Moby, compagnia di navigazione italiana.
IN PASSATO ha finanziato la Open per 50 mila euro a titolo personale e con altri 100 mila con la sua Moby. Si è conquistato poi nel 2016 anche un intervento sul palco della Leopolda al grido di: “Il più grande gruppo del mondo, la Moby, nel settore dei traghetti e un gruppo fatto da tutti italiani”. Al Mattino, dopo che si era diffusa la notizia della perquisizione, ha spiegato: “Credo e crederò sempre negli ideali sociali di Renzi ed ho sostenuto la sua fondazione con un contributo pubblico perché chiaro, visibile e trasparente. Sono anni che lotto per l’occupazione dei marittimi italiani”.
L’armatore Il signore dei traghetti: “Credo negli ideali dell’ex premier, ho dato un contributo trasparente”
E ancora: tra i perquisiti di qualche giorno fa c’è anche la Aurelia Srl di Tortona, holding della famiglia Gavio. E poi la British America Tobacco (Bat) che in passato ha versato alle casse della Open 100 mila euro.
Non è finita. Le fiamme gialle inoltre si sono presentate dalla Getra di Napoli, azienda di trasformatori elettrici presieduta da Marco Zigon. Il gruppo nel 2016 ha finanziato, in chiaro e registrandoli a bilancio, 150 mila euro. Documenti sono stati acquisiti anche nella sede romana del gruppo Garofalo Healt Care, società del settore della sanità. Alcune aziende del gruppo nel 2014 hanno finanziato la Open per circa 20 mila euro in totale. “Importi modestissimi regolarmente dichiarati come previsto dalla legge” ha spiegato l’avvocato Alessandro Diddi.
Nessuno dei soggetti perquisiti, del resto, risulta indagato.
ADESSO gli investigatori stanno analizzando la ingente mole di documenti acquisiti. L’indagine è all’inizio: solo all’esito si scoprirà se il sospetto dei pm – ossia che il denaro arrivava nelle casse di Open per poi essere usato per sostenere iniziative politiche senza rispettare, però, la legge sul finanziamento ai partiti – sia fondato o meno.