Ombre e sospetti sulle primarie del 2013 e del ’17: il Pd come la Dc
Negli anni delle due vittorie di Matteo, la Open mosse 2 milioni e 300mila euro: servirono per voti e tessere?
Isospetti circolavano già da anni, tra big, colonnelli e gregari di quella che veniva chiamata un tempo la Ditta – fino alla scissione del Diciassette di Articolo 1 – e sconfitta da Matteo Renzi alle primarie del 2013 (sfidante Cuperlo) e del 2017 (sfidante Orlando). E cioè: che parte dei 6,7 milioni di euro movimentati dalla Fondazione Open, la cassaforte della corrente renziana del Pd, possano essere stati dirottati per pagare pacchetti di voti e di tessere in molti circoli italiani, soprattutto in provincia.
FU COSÌ, allora, che il Pd si democristianizzò del tutto con la degenerazione delle primarie, lo strumento usato da Renzi per impadronirsi del partito. Dice lo storico lo storico Miguel Gotor, già senatore bersaniano: “Quello che leggiamo oggi ci dice che il renzismo è stato agli antipodi della questione morale di Berlinguer, laddove si doveva distinguere tra premier e segretario del partito, contro l’occupazione delle istituzioni da parte dei partiti. E le primarie sono state un campo aperto con ogni sorta di scorribande, che servivano a destrutturare il Pd e a trasformarlo in un comitato elettorale”. Insomma una deriva dorotea alla Antonio Gava buonanima, il boss dc padrone assoluto delle tessere ai tempi del Caf, il patto di potere tra Craxi, Andreotti e Forlani.
Solo che, con le primarie, il meccanismo ha subìto un’evoluzione, che ha trovato impreparati i big dalla vecchia mentalità comunista, non abituata storicamente alla lotta tra clan e correnti per gestire soldi e spartirsi i finanziamenti. Non a caso, la pietra miliare di questo processo di democristianizzazione del Pd, dal punto di vista storico, viene fatta risalire alla lista dello scandalo di Luigi Lusi, l’ex tesoriere della Margherita. Una lista in cui si elencavano i soldi versati ai vari esponenti delle correnti dc della Margherita. E compariva pure Renzi. Le primarie hanno fatto il resto. Uno strumento che la cultura di matrice togliattiana non ha saputo maneggiare. Per dirla alla Tortorella, padre nobile del Pci, “siamo diventati vittime delle nostre macchinazioni”.
Fino al punto di rottura, incarnato dal bambino Renzi che si mangiò i comunisti nel 2013, trionfando con il 67,5 per cento alle primarie contro Gianni Cuperlo, fermatosi al 18,2. Quell’anno, secondo le carte giudiziarie, i soldi della Open superarono il picco del milione. Un milione e 27mila euro, per la precisione. Stessa storia alla competizione del 2017, contro Orlando. Il renzismo era stato sconfitto al referendum, aveva perso Palazzo Chigi eppure mosse un milione e 300mila euro. Come vennero impiegati?
Anche perché il tetto di spesa ufficiale alle primarie era di 200mila euro. Eppure le cronache di allora, anche senza abbandonarsi a dietrologie, raccontano proprio molti casi di “boom delle tessere” a ridosso delle primarie. A Reggio Calabria, negli ultimi mesi del 2013 (si votò a dicembre) gli iscritti aumentarono del 315%, a Matera del 304, a Campobasso del 293. A Bari, nel solo quartiere San Paolo pochi mesi prima del Congresso si passò da 19 tessere a 334, prima che il partito locale bloccasse tutte le nuove iscrizioni intuendo la cattiva piega della situazione.
MA PURE NEL 2017le cose sono andate in maniera simile. A Battipaglia ( Salerno) molte delle 250 nuove tessere fatte poco prima delle primarie – che tra l’altro erano aperte anche ai non iscritti – si rivelarono fasulle e assegnate a nomi e cognomi che smentirono di aver mai aderito al Pd. E a proposito di Salerno, è proprio lì che Renzi ha goduto a lungo di percentuali da plebiscito: il 73% nel 2013, addirittura un surreale 90% nel 2017. Merito soprattutto della vicinanza con Vincenzo De Luca, ora governatore dem della Campania ma storico sindaco della città, capace di muovere come pochi il consenso all'interno del partito salernitano. Ad Agropoli, stessa provincia, nota per il sindaco Franco Alfieri invitato da De Luca a raccogliere voti offrendo fritture di pesce, Renzi vanta il record personale: 2.300 voti su 2.500 nel 2017, ovvero il 93%. A Diamante (Cosenza), dove è sindaco il renziano Ernesto Magorno, l’ex premier è arrivato all’87%. Neanche fosse il collegio di Pontassieve.
I nuovi dorotei Dice Gotor: “I gazebo sono stati un campo aperto con ogni sorta di scorribande”
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