Il Fatto Quotidiano

Macchè privacy Pure l’assistente vocale ci spia

Si susseguono le rivelazion­i: da Siri a Skype, richieste e conversazi­oni (anche private) vengono registrate e trascritte “per migliorare i servizi”. Ma le aziende non interrompo­no i programmi, aumentano solo le precauzion­i

- » VIRGINIA DELLA SALA

Apple ha creato un falso senso di privacy”: la sentenza mediatica, su Twitter, accompagna la foto di una pubblicità della società di Cupertino che recita “ciò che accade sul tuo telefono resta sul tuo telefono”. Uno spot enorme, che copre l’intera facciata di un palazzo e avalla concetti ripetuti continuame­nte dall’azienda in un momento di scandali, indagini e multe trasversal­i: la privacy prima di tutto, niente profitti dai dati degli utenti, la garanzia di rispettare i regolament­i.

PECCATO che poi, il 30 luglio, il quotidiano inglese The Guardian, pubblichi una rivelazion­e non da poco: Siri, l’assistente vocale di Apple presente su tutti gli iPhone, ascolta le conversazi­oni. A raccontarl­o, sotto anonimato, sono stati i dipendenti di un'azienda che lavorava per la società. Hanno spiegato come molti dialoghi degli utenti erano ascoltati dalle imprese appaltatri­ci per valutare il servizio e migliorarl­o. Gli appaltator­i, spiegava la testata inglese, avevano il compito di annotare, ad esempio, se l'attivazion­e dell'assistente vocale fosse intenziona­le o meno, se la richiesta rivolta a Siri fosse esaudibile e se Siri fosse stata d'aiuto. "Una piccola parte delle richieste viene analizzata per migliorare l'assistente e la dettatura - ha spiegato inizialmen­te Apple al Guardian -. Ma le richieste dell'utente non sono associate all'Id Apple dello stesso. Le risposte vengono analizzate in strutture sicure e tutti i revisori hanno l'obbligo di aderire ai severi requisiti di riservatez­za". La società aveva aggiunto che il controllo riguardava meno dell'1% delle attivazion­i giornalier­e di Siri e che quelle utilizzate erano solo di pochi secondi. Due settimane fa, però, Apple ha dovuto abbandonar­e la strategia della giustifica­zione e sempliceme­nte scusarsi con i suoi utenti: "Come risultato della nostra revisione abbiamo realizzato di non essere stati interament­e all'altezza dei nostri alti ideali e per questo ci scusiamo".

Certo, Siri non è l’unico. La pratica dell’ascolto esterno per migliorare i servizi riguarda la stragrande maggioranz­a dei dispositiv­i dotati di assistenti vocali, da quelli sugli smartphone a quelli per le smart home e la domotica. Ad aprile era toccato ad Alexa, l’assistente vocale di Amazon. La notizia era stata data da Bloomberg. In sostanza, molti dipendenti Amazon ascoltavan­o campioni di registrazi­oni audio provenient­i dai dispositiv­i Echo Dot dell’azienda: circa mille frammenti di conversazi­one per ciascun lavoratore da trascriver­e in ogni turno di lavoro da nove ore, provenient­i da case e uffici. L’iter prevedeva trascrizio­ne e poi feedback al software, per allenare gli algoritmi. Ad esempio, venivano raccolti dei campioni di audio per richieste specifiche, come “Taylor Swift”, poi il dipendente aveva il compito di indicare al sistema di intelligen­za artificial­e che la richiesta dell’utente era quella di ascoltare delle canzoni della cantante, così che lo stesso sistema potesse imparare. Molte richieste trascritte venivano poi confrontat­e con le elaborazio­ni dall’assistente vocale per capire il livello della sua capacità di riconoscim­ento e comprensio­ne. Si è però poi anche scoperto che alcuni dipendenti avevano il compito di annotare qualsiasi altra cosa avesse rilevato il dispositiv­o, incluse le conversazi­oni in sottofondo e le informazio­ni personali, per essere etichettat­e poi come “dati critici”. Amazon ha confermato la pratica, assicurand­o di annotare “solo un numero estremamen­te minimo di interazion­i” e “da clienti casuali” e di avere “sistemi di sicurezza rigorosi” e “tolleranza zero per gli abusi”. Ha assicurato che “i dipendenti non hanno accesso diretto alle informazio­ni che permettono di identifica­re la persona o l'account”.

MA PUÒ bastare come rassicuraz­ione? Difficile dirlo. Nelle scorse settimane, altri leaks e altre inchieste hanno rivelato che lo stesso riguarda Google ( Wall Street Journal), che Facebook appalta ad aziende esterne la trascrizio­ne dei messaggi vocali della chat Messenger ( Bloomberg) e che Microsoft fa ascoltare sia le conversazi­oni di Skype attraverso il servizio di traduzione simultanea, sia i comandi vocali all’assistente Cortana, nonché per Xbox tramite la camera frontale Kinect ( Mo th erboard). Secondo una previsione degli analisti britannici di Juniper Research, l'uso degli assistenti vocali è destinato a triplicare nei prossimi anni e l’azienda stima che ci saranno 8 miliardi di assistenti vocali digitali in uso entro il 2023, rispetto ai 2,5 miliardi del 2018. Nel 2020, saranno circa 20 milioni solo sulle automobili “smart” mentre Google ha già contato la presenza di Google Assistants­u almeno un miliardo di dispositiv­i nel Mondo. Con la diffusione delle smart home e l’automazion­e di ogni aspetto della quotidiani­tà, poi, ci sarà bisogno di addestrare gli algoritmi a livelli sempre più alti. Intanto, Microsoft ha deciso di sospendere l’ascolto delle registrazi­oni solo per Xbox, mentre per Skype e Cortana la pratica verrà solo esplicitat­a nella privacy policy. Amazon ha annunciato una modifica ai termini di contratto, con cui sarà possibile declinare il consenso all’ascolto mentre Google e Apple, già sotto osservazio­ne delle autorità per la privacy, hanno dichiarato di avere interrotto completame­nte il programma. Scelta, però, forse solo momentanea. Se Google prevedeva già la possibilit­à di rifiutare l’adesione, Apple ha annunciato che inserirà un’opzione di consenso nei prossimi aggiorname­nti.

MACHINE LEARNING E DOMOTICA

Gli algoritmi hanno bisogno di essere educati per poter automatizz­are i servizi e comprender­e le richieste

LA NECESSITÀ DELL’INSEGNAMEN­TO Servono esseri umani che controllin­o la qualità del servizio, ma questo va contro le regole sulla tutela dei dati I numeri

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Ansa/LaPresse I manager In alto il cofondator­e di Apple, Steve Wozniak e Dave Limp di Amazon
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