Disastro Metro C: i soldi finiti, fioccano le cause
Senza fondi le talpe si fermeranno ai Fori e saranno tombate. Raggi spera nel ministero
ENTRO novembre le talpe saranno ai Fori ma senza soldi saranno cementate lì Ripartire costa 24 milioni. E se non si fa la stazione, Metro C chiede 40 milioni di danni Metro
C, ultima corsa. Appena 450 metri e poco più di sei settimane, poi le due talpe “Shira” e “Filippa”, che da 13 anni scavano lente le due gallerie della terza linea del metrò capitolino, potrebbero fermarsi definitivamente. Saranno cementate sotto via dei Fori Imperiali perché, senza ulteriori comunicazioni e stanziamenti della parte pubblica, il Consorzio di imprese che sta realizzando l’opera – Vianini Lavori del gruppo Caltagirone, Astaldi, Hitachi e le coop Ccc e Cmb – ritiene che il suo lavoro sia concluso. C’è tempo fino al 30 ottobre, quando il primo escavatore, partito lunedì, raggiungerà largo Ricci. L’operazione di tombatura porterà un esborso di 4 milioni: ritirarle fuori in seguito costerà altri 20 milioni, a cui potrebbero aggiungersi i 40 di penale che i costruttori hanno chiesto al Comune di Roma, il committente, per la mancata realizzazione della stazione di Piazza Venezia: in totale 64 milioni.
AD OGGI, la metro verde è aperta dalla stazione Pantano – estrema periferia est – a San Giovanni, quest’ultima aperta nel 2018 con 7 anni di ritardo rispetto al cronoprogramma del 2006. In mezzo è accaduto di tutto: 45 varianti, ritrovamenti archeologici, ditte fallite, cantieri infiniti, errori progettuali, scioperi, contenziosi e lodi arbitrali. Anche inchieste contabili e penali: le prime prescritte, le seconde, con 25 indagati, arrivate a una richiesta di rinvio a giudizio su cui il gip non si è mai pronunciato.
Al momento, si sta realizzando il tracciato centrale, quello da San Giovanni a Colosseo/Fori Imperiali, con in mezzo la stazione Amba Aradam. Qui, nel 2016, venne ritrovata un’antica caserma di epoca romana, che la sovrintendenza ha ordinato di spostare e riposizionare, ma i lavori sono “sostanzialmente fermi” ammettono fonti del Consorzio. E senza quella stazione, spiegano i tecnici, non si può aprire nulla, nemmeno i binari di scambio a servizio della fermata di San Giovanni previsti per errore sotto via Sannio, cosa che impedisce ai treni di avere una frequenza inferiore ai 9 minuti. L’ennesima impasse che sta dilazionando l’apertura di Colosseo dal 2021 – stabilito dal secondo cronoprogramma del 2013 da Ignazio Marino – al 2024.
COSA manca all’appello? Soldi e progetti. Il Mit, che finanzia l’opera per il 70% – il resto ce lo mettono Campidoglio (18%) e Regione (12%) – da più di un anno lavora, su richiesta di Virginia Raggi, a una project review della tratta conclusiva, da Venezia a Clodio (che si sarebbe dovuta fare per prima, ma tant’è) di cui non c’è traccia, come mancano i finanziamenti per la stazione di Piazza Venezia – 400 milioni, ma ce ne sono solo 150. “Senza il via libera abbiamo le mani legate”, ripetono dal Campidoglio, mentre la neo ministra Paola De Micheli preferisce non commentare.
Non che di soldi i cittadini non ne abbiano cacciati, in questi 13 anni. Anzi. Solo la tratta Pantano-Venezia è arrivata a costare 3,019 miliardi contro i 2,229 iniziali, oltre 700 milioni di extra- costi (frutto di un accordo transattivo ottenuto da Gianni Alemanno a fronte delle 45 varianti da oltre 2 miliardi richiesti nel decennio scorso); la cifra lieviterebbe a 3,740 miliardi se si arrivasse a Clodio. Ma attenzione. Perché al Tribunale civile di Roma ci sono due contenziosi civili ancora vivi che il Consorzio ha presentato nel 2014, un conto partito da 380 milioni, che “si nutre” di ritardi vari e che, secondo i privati, è arrivato a sfiorare il mezzo miliardo. Rischio che pesa sul Comune e a sua municipalizzata di scopo Roma Metropolitane: quest’ultima, in qualità di committente, è sull’orlo di affondare proprio sotto il peso dei ricorsi civili.
Il caso