La liberalizzazione porterebbe solo più soldi ai privati
Il trasporto pubblico locale (Tpl) a Roma è insostenibile. Non vi è nulla da difendere, ma tutto da riorganizzare, dalle fondamenta, a partire dalle cause strutturali della drammatica condizione della mobilità per i cittadini della Capitale e dell’ar ea metropolitana pendolari su Roma. La natura del gestore del servizio, pubblico o privato, rileva ma è una pericolosa illusione attribuirgli funzione salvifica. Quali sono le cause strutturali delle tragedie quotidiane della mobilità a Roma?
1) Il taglio, per alcuni anni azzeramento, dei trasferimenti nazionali e regionali per il Tpl, da cui è derivato il 90% del debito di Atac, paralizzante per investimenti e manutenzione, ossia per numero e qualità di mezzi in circolazione e reti.
2) L’assurdo assetto urbanistico della Capitale e gli enormi extra-costi necessari a servire una larghissima area urbana, pari a quella di 9 capitali eu- ropee, scarsamente popolata ( Roma, 2.000 abitanti per km quadrato; Londra, 5.470; Milano, 6.870).
3) L’eccesso di traffico privato dovuto, prima che alle carenze del Tpl, al deficit di connessioni su ferro tra Roma, area metropolitana e regione, un contesto in via di aggravamento “grazie” alla realizzazione da parte della Giunta Zingaretti dell’autostrada a pedaggio parallela alla Pontina.
4) L’assenza di un adeguato piano per la mobilità sostenibile ( corsie preferenziali, parcheggi e nodi di interscambio, orari carico/ scarico merci, ecc), responsabilità delle amministrazioni politiche, non del gestore del servizio.
5) Ultimo, ma non ultimo, le esigue risorse nel bilancio comunale: a Roma 1.890 euro per abitante; a Milano 3.748.
In tale scenario – rileva la natura del gestore, oggetto del primo quesito referendario – il Tpl è un monopolio naturale. La concorrenza non è possibile nel mercato, in quanto il servizio è unico, ossia fornito in ogni momento da un unico gestore. Dagli anni 80, per i monopoli naturali in mano pubblica, con Reagan e la Thatcher come apripista, è stata introdotta la “concorrenza per il mercato”: messa a gara del servizio, la cosiddetta “l iber aliz zazione”; affidamento a gestore generalmente privato; agenzia di regolazione. In Italia, ad esempio, è il modello per la gestione della rete autostradale, con i risultati noti, di cui Genova è soltanto la punta dell’iceberg.
È IL MODELLO della gestione dei principali aeroporti italiani con le conseguenti rendite finanziarie per i Benetton. È il modello già in essere nella Capitale per il 20% delle linee di trasporto pubblico urbano, affidate all’azienda privata “Roma Tpl”, con esiti umilianti per utenti e lavoratori. È il modello di gestione della rete ferroviaria e idrica del Regno Unito, epicentro dell’offensiva di liberalizzazione/privatizzazione, con conseguenze sempre più gravi. È un caso che circa due terzi dei cittadini oltre Manica invocano, sulla base del loro vissuto quotidiano, le ri-nazionalizzazioni? Lì, la sinistra ha archiviato il neoliberismo blairiano e con Corbyn fa la sinistra e non lascia la domanda di intervento pubblico alla destra.
In sintesi, dati empirici, non pregiudizi ideologici, indicano che la concorrenza per il mercato non funziona: determina investimenti insufficienti, impoverimento del servizio, aumento delle tariffe e peggioramento delle condizioni del lavoro. Perché? La ragione è semplice: il regime di monopolio natura- le rigido del servizio di Tpl. È un’arma formidabile per chi lo gestisce, ancor più in mano ai privati, dai quali un’amministrazione pubblica incapace di organizzare una gestione efficiente viene “catturata” con relativa facilità nelle sue funzioni di regolazione e controllo del servizio, data l’asimmetria di risorse professionali e finanziarie a disposizione e dai quali si “li- bera” difficilmente, date le complessità tecniche, gli ostacoli giuridici, i tempi lunghi e gli elevati costi organizzativi di transizione connessi alla sostituzione del gestore.
ALLORA, che fare per il modello di gestione? Respingere l’illusoria scorciatoia proposta dal referendum; introdurre e organizzare la sistematica partecipazione dei comitati degli utenti, a partire dal livello municipale, per programmazione e verifica del servizio; prevedere short
list cer tificata di professionisti, parere dei comitati degli utenti e una m ag gi or an za qualificata del consiglio comunale per la nomina dei vertici aziendali; potenziare in termini di risorse professionali “Roma servizi per la mobilità”, agenzia di pianificazione, regolazione e verifica del servizio; legare la remunerazione del management aziendale al raggiungimento degli obiettivi. Sono innovazioni rilevanti. Ma senza affrontare i nodi strutturali richiamati sopra, nessun miglioramento significativo è realistico.
Sono i dati empirici a indicare che la concorrenza in questo mercato non funziona: determina investimenti insufficienti, servizi più poveri e il peggioramento delle condizioni del lavoro