“Non lasciamo il nazionalismo ai nazionalisti”
di genere, ma la mobilitazione è stata in larga parte mediatica. Vedremo se si riusciranno ad avere un maggior numero di azioni di lavoratrici intorno alle rivendicazioni del #MeToo, ma per ora non sono sicuro che sia un movimento sociale paragonabile a quelli che avete avuto in Europa o che esistono oggi in paesi come Brasile o India. Negli Usa manca di una forte sinistra politica, che invece si sta affermando in Europa solo recentemente.
La storia della sinistra italiana mi sembra una storia di opportunità sprecate, sconfitte autoinflitte e fallimenti. Anche la sinistra statunitense ha fatto la sua parte di errori, ma abbiamo dovuto cimentarci con la classe dirigente più potente della storia e con l’eredità storica dell’assenza di partiti laburisti o socialdemocratici che abbiano rappresentato gli interessi del mondo del lavoro. Direi che in Europa ci sono nuovi spazi. Non credo nel populismo di sinistra come teoria, ma penso che ci siano aspetti della sua retorica popolare – come quelli utilizzati da Podemos in Spagna – che dovremmo prendere come esempio. Penso che serva anche una posizione credibile sull’Europa, avanzando critiche da sinistra alle istituzioni europee, in modo che la destra non finisca per presentarsi come la sola credibile forza di opposizione.
Con quali prospettive?
La sinistra non deve perdere la fiducia nella capacità dei lavoratori di lottare per la propria emancipazione. C’è ancora una wo r k i n g class, può ancora essere organizzata, ci sono ancora interessi comuni che la uniscono. La working class è cambiata, è stata frammentata, ma le intuizioni fondamentali del marxismo e del socialismo tengono ancora.
La versione integrale di questa intervista è pubblicata dalla rivista Jacobin Italia in uscita il prossimo 15 novembre e pubblicata anche da
www.jacobinitalia.it
“La bestia del nazionalismo va addomesticata”. È sul piano della nazione, “rigettata a torto con tutti i suoi orpelli” dalla sinistra, che i difensori della democrazia liberale devono combattere. È quel che sostiene Yascha Mounk, politologo della Harvard University, conosciuto soprattutto per Popolo vs Democrazia. Dalla cittadinanza alla dittatura elettorale (Feltrinelli 2018).
Yascha Mounk, democrazia e liberalismo vanno tenuti distinti ?
Se noi definiamo la democrazia in modo tale da includervi tutto ciò che ci appare desiderabile, risulta impossibile capire per esempio quanto accaduto in Svizzera, dove la maggioranza dei cittadini ha votato per proibire la costruzione di una moschea. Un voto che è allo stesso tempo democratico ma comunque illiberale. La distinzione, dunque, ci aiuta a comprendere l’emergere di due nuovi sistemi politici. Da una parte, da molti anni viviamo in sistemi di un liberalismo insufficientemente democratico, nei quali i diritti di libertà individuale vengono più o meno rispettati, ma le persone maturano l’impressione di non avere più il potere di assumere decisioni davvero rilevanti. Dall’altra parte, si affermano le democrazie illiberali, in cui alcuni leader, spesso popolari come Matteo Salvini in Italia, cominciano a violare i diritti individuali, a negare i diritti delle minoranze.
Il liberalismo non democratico corrisponde alla tecnocrazia oligarchica, mentre la democrazia illiberale al populismo autoritario. Quali sono i pericoli di questa forma di populismo?
In un primo momento il populismo autoritario si rivolge contro le minoranze, indebolisce le istituzioni, nega lo stato di diritto, esercitando una violenza contro il primo dei nostri valori, la libertà individuale. Ma una volta che i politici illiberali hanno indebolito le istituzioni indipen-
9 NOVEMBRE Mounk discuterà con Giuliano Amato venerdì a Milano alle 18 (a Scienze Politiche, via Conservatorio 7) nel primo dei dialoghi sul Trend Illiberale organizzati da Reset denti, modificato la natura degli equilibri costituzionali, assicurato l’elezione dei propri lealisti nelle commissioni elettorali, diventa impossibile rimuoverli dal governo attraverso strumenti democratici. Lei suggerisce ai progressisti di adottare una forma di “patriottismo pragmatico” I nazionalisti di destra possono essere sconfitti sul loro stesso terreno?
Il nazionalismo rimane una forza politica molto presente e forte, un fattore centrale di mobilitazione e identità. Se tutti coloro che si oppongono al razzismo e al nazionalismo esclusivo abbandonassero il campo, personaggi come Matteo Salvini potrebbero monopolizzarlo, provocando la bestia fino a farne un animale nuovamente selvatico. La strategia migliore, non senza rischio, è di provare ad addomesticare ancora di più il nazionalismo. Occorre battersi per un nazionalismo inclusivo appunto.
La strategia da lei proposta non rischia di lasciare il campo transnazionale ai populisti? Bernie Sanders sul Guardian invoca un fronte progressista internazionale da opporre a “l’asse autoritario”. Ho apprezzato l’articolo di Sanders: è stato molto esplicito sul pericolo rappresentato dall’autoritarismo illiberale, incluso quella russo. Sanders è un fiero patriota. Sa che il problema principale non è il fatto che Trump prometta la difesa degli interessi degli Stati Uniti: lo hanno fatto tutti i presidenti americani, e lo farebbe anche Sanders, da presidente. Il problema è che, per Trump e per gli altri membri dell’internazionale illiberale, l’unico modo per tutelare e proteggere gli interessi nazionali è quello di opporsi agli altri Paesi. Un’internazionale democratica o progressista dovrebbe basarsi sull’idea che ogni leader politico può voler mantenere gli interessi del proprio Paese, ma senza rinunciare alle forme di cooperazione internazionale che beneficiano tutti.
Il testo integrale su Reset.it
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