Il piano B della Banca centrale europea contro il malessere della crescita
Tra gli strumenti disponibili: posticipare il primo rialzo dei tassi e nuovi finanziamenti agevolati per gli istituti bancari
Afine anno la Banca centrale europea concluderà il suo programma di acquisti noto come Quantitative easing (Qe), ma la congiuntura dell’Eurozona mostra segni di affaticamento in alcune delle sue maggiori economie: nel terzo trimestre l’Italia è tornata a stagnare e la Germania (ma si avrà conferma solo il 14 novembre) dovrebbe segnare una forte frenata rispetto al +0,5% del secondo trimestre, imputabile soprattutto alla manifattura e che viene forse un po’ troppo semplicisticamente ricondotto ai colli di bottiglia causati dai nuovi e più rigorosi test per le emissioni degli autoveicoli. Non è ancora un rallentamento generalizzato, visti i positivi dati di crescita francese (+0,4% trimestrale) e spagnola (+0,6%), ma il malessere congiunturale, alimentato dalle persistenti tensioni protezionistiche globali, è visibile. La Bce potrebbe quindi trovarsi in una situazione problematica, visto che la Bce ha sempre dichiarato che la propria azione è guidata dai dati macroeconomici.
NELLA RIUNIONE del 13 dicembre, la Bce produrrà previsioni aggiornate su crescita e inflazione. Anche se sinora Draghi è stato piuttosto ottimista su quest’ultima, il dato core (che esclude le componenti volatili di alimentari ed energia) è inchiodato da tempo intorno all’1% tendenziale. Se le previsioni di crescita dovessero ulteriormente deteriorarsi, la Bce disporrebbe di alcune opzioni. Ad esempio, potrebbe agire sulla forward guidance, cioè comunicare che la data prevista per il primo rialzo dei tassi ufficiali (oggi negativi per lo 0,4%) potrebbe essere spinta più in là rispetto alle attese del mercato, poste all’estate del prossimo anno. Oppure potrebbe decidere una nuova serie di finanziamenti pluriennali a tasso agevolato a beneficio delle banche commerciali (Tltro), anche considerando che il prossimo anno giungeranno a scadenza alcune operazioni simili, di cui hanno beneficiato soprattutto le banche italiane, che tra il 2014 ed il 2017 hanno “tirato” un terzo dei circa mille miliardi messi a disposizione dalla Bce. Considerando il forte aumento dei costi di finanziamento che i nostri istituti stanno subendo a causa delle improvvide ed autolesionistiche dichiarazioni del governo italiano, la riproposizione di questo tipo di intervento aiuterebbe soprattutto il nostro paese. Tra gli altri strumenti disponibili vi è anche la segnalazione al mercato di un “più esteso” periodo di reinvestimento dei titoli in portafoglio della Bce giunti a scadenza. Ad oggi non c’è una data di cessazione degli acquisti da reinvestimento, che sarà comunque graduale: il consenso di mercato ne ipotizza la prosecuzione a tutto il 2020. Meno utile la cosiddetta “operazione twist”, cioè concentrare gli acquisti da reinvestimento sulle scadenze lunghe, per stimolare gli investimenti: le banche avrebbero minore redditività a causa dell’appiattimento della curva dei rendimenti che questa operazione indurrebbe.