Il Fatto Quotidiano

CHIESA O MOSCHEA, È SEMPRE PREGHIERA

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Ha voglia di far pentole, il Demonio, sarà sempre Dio a mettere il coperchio quando e come vuole. L’Associazio­ne Musulmani si aggiudica all’asta la cappella degli ex Ospedali Riuniti di Bergamo che fa capo alla Regione Lombardia, dell’ex chiesa se ne farà una moschea e così – l’Altissimo sì che sa profondere il buonumore – è Iddio in persona, di fronte alla legge restrittiv­a contro i luoghi di culto, a offrire il sacrosanto inganno.

C’è da sorriderne, la partita è proprio impari e perfino le reazioni più allarmate – come ieri Libero col titolo “Allah sfratta Gesù” – volano nell’allegria perché l’Islam proprio non può privarsi del figlio di Maria, anzi, ne custodisce il lascito spirituale, al pari della sua sacrissima Madre e però è inutile attardarsi in sermoni quando già la sancta simplicita­s risolve tutto: pregare non è mai una colpa.

E il titolare, meglio – il destinatar­io dell’orazione – è sempre lo stesso: il Divino.

NON AVETE idea quanto sia moschea la superba cattedrale di Palermo dove cristianam­ente, ma al modo saraceno, è seppellito Federico II, il tedesco che per farsi musulmano volle vivere in Sicilia. Avvolto nei lini, nudo, il capo poggiato sulla nuda pietra, l’Imperatore dell’universale è sepolto in dire- zione di Mecca. E sempre a Palermo, la Cappella Palatina, a Palazzo de Normanni, porge agli uomini la preghiera all’ombra del verde intarsiato d’oro. E sono “giardini di vigne circondati di palme”.

Così è scritto nei mosaici, e non è soltanto il logo dei profumi Ortigia – così nella versione stilizzata – è il versetto della Sura della Caverna, dal Santo Corano. Pregare non è mai una colpa. Non c’è stato verso di poterli sfrattare gli Dei, tutti, quando del Pantheon – a Roma – se n’è fatta una chiesa cristiana. Ogni qual volta dal foro del tempio vi si affaccia la luce per trascinare nel suo fascio, i raggi del sole, è sempre quello – il Dio ignoto – a far capolino tra le Guardie d’Onore, i turisti e i Gladiatori di cartapesta.

Nessuno sfratta nessuno: sono sempre raggi della stessa luce.

Come a Santa Sofia, a Istanbul – eterna Roma – o come a Damasco le cui moschee nei minareti cantano, col vigore dei muezzin (ebbene, sì), il nome di Gesù.

Come nei templi del fuoco – è quello dei Re Magi – pe ren nemente ravvivato dai sacerdoti di Zaratustra nella pur Repubblica islamica d’Iran.

C’è anche in Kazakistan, in Pakistan, in Uzbekistan, in Siberia, tra gli sciamani del Nord America, è lo stesso di quello di Vesta – ai Fori Imperiali – e però il nostro fuoco è stato fatto spegnere da molti secoli ormai, quando, la religio dei nostri padri, la fede di Ipazia, diventava un crimine abietto da cancellare nell’oblio e nella distruzion­e.

Come a Palmira, la perla del deserto in Siria, devastata dai terroristi islamisti dell’Isis, arrivati secondi, secoli dopo, rispetto ai fanatici cristiani.

Ed è un dolore, infatti, leggere Nel nome della croce, la distruzion­e cristiana del mondo classico, un saggio di Catherine Nixey pubblicato in Italia da Bollati Boringhier­i dove si capisce – i fatti sono messi in fila – che tutti sfrattano tutti quando a far legge sono le pentole d e ll ’ odio e non l’i ncommensur­abile coperchio di misericord­ia del Divino.

Dopo di che, certo, c’è la politica. La Lega della campagna elettorale indugia sulla voluta confusione tra religione e immigrazio­ne per averne consenso. Matteo Salvini che oggi è al governo – ministro dell’Interno – deve adesso separare le due questioni. Ha promesso di confrontar­si con i cittadini federician­i (se proprio si vuol parlare di radici europee, più radice di Federico II non c’è…) e i musulmani italiani sono ben pronti. Per tenere ben distinte religione e geografia. Dopo di che, ovvio, c’è la realtà.

ECCO UN ANEDDOTO: i n co n tr o casualment­e Omar e Ibrahim in metropolit­ana, a Roma, e nella gioia del rivedersi usciamo in superficie per prendere un caffè.

Ibrahim è romano verace, di antica schiatta, abita nel quartiere Quadraro e non ne può più dei bengalesi che “tengono le mogli chiuse in casa, le vestono con i sacchi neri, fingono di essere poveri e si fanno dare i soldi della solidariet­à”.

Che c’entra questo discorso, domandiamo all’unisono io e Omar.

E lui: “Questo non è l’Islam!, che vuor di’ che te tieni ’a moglie come un cane?”.

No, non è l’Islam, rispondiam­o pure noi. Siamo a piazza Vittorio e Omar – una colonna della comunità – osserva: “Ci rendiamo conto che già qui, in questo slargo, ci sono ben quattro sale da preghiera… ma perché non se ne fa una sola, grande, bella…”.

Lo interrompe Ibrahim: “Questo non è l’Islam, questi se stanno a fa’ le loro tribù, nun fanno ‘a religione, fanno solo geografia!”.

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