“Quel Caravaggio rubato venduto a pezzi dai boss”
Dalla commissione Bindi la nuova ricostruzione della vicenda della “Natività”
NELLA LISTA DELL’FBI delle dieci opere rubate più importanti al mondo, la Natività di Caravaggio sottratta la notte tra il 17 e 18 ottobre del ’69 dall’Oratorio di San Lorenzo di Palermo non è andata distrutta, come era emerso dal racconto di un pentito di mafia, ma è stata venduta in Svizzera ad un mercante d’arte dal boss Tano Badalamenti e probabilmente spezzettata in quattro, sei o otto parti, come si usava allora per ottenere il massimo del profitto. È l’ultima verità sulla fine di uno dei capolavori dell’arte italiana ricostruita grazie alle parole dell’ex boss Gaetano Grado e consegnata ieri a Palermo dalla commissione antimafia guidata da Rosy Bindi, venuta ieri nell’Oratorio di San Lorenzo (dove, nella stessa nicchia da cui fu rubato, è esposto il clone informatico realizzato da un team di architetti e informatici), per illustrare i risultati della sua indagine, in parte ancora secretata: lo sono i nomi dei due balordi, “aiutati da altri esperti d’arte’’, ha detto la Bindi, che quella notte staccarono, “in maniera chirurgica’’ ha detto l’esperto Bernardo Tortorici, dall’altare il quadro alto tre metri per caricarlo su un furgoncino Om 604.
A COMMISSIONARE il furto non sarebbe stata la mafia, intervenuta in un secondo momento, per impadronirsi dell’opera. Però, anche se solo per suggestione, Cosa Nostra entra nelle prime fasi del furto: a scoprirlo furono le sorelle Emilia e Maria Gelfo, donne delle pulizie dell’Oratorio, omonime, ha detto il giornalista Attilio Bolzoni, della levatrice di Riina’’: ‘’Sono parenti? – si è chiesto il giornalista – io non ho approfondito’’. E anche se i reati connessi al furto adesso sono prescritti, tutti gli atti dell’indagine parlamentare sono stati trasmessi alla Procura di Palermo per gli ulteriori approfondimenti di un mistero sul quale tutte le ombre non sembra si siano ancora diradate, al punto che la stessa Bindi, rispondendo ad una domanda del giornalista, che ha parlato di “sei o sette verità diverse dei pentiti’’ chiedendole ‘’che se ne fanno i ladri di quattro o otto spezzoni di quadro?’’, ha risposto: “Accontentiamoci di un frammento di bellezza, è come avere un frammento di verità”. Che avrebbe potuto essere completa se monsignor Rocco, direttore dell’Oratorio di San Lorenzo, qualche giorno dopo il furto, fosse riuscito a condurre in porto la sua personale trattativa con gli autori del furto: ‘’Aveva avviato i contatti per la restituzione ed era a buon punto – ha detto padre Giuseppe Bucaro, direttore dell’ufficio Beni Culturali della Diocesi di Palermo, presente insieme all’arcivescovo, Corrado Lorefice – allora io ero un suo allievo e ci disse che qualcuno della polizia non si era mosso bene, e il contatto era sfumato’’. Così come sparita dagli archivi della polizia è anche la denuncia del furto presentata in quell’ottobre di quasi 50 anni fa. “Tutte le altre, dei numerosissimi furti d’arte nelle chiese di Palermo ci sono – ha detto padre Bucaro – quella del Caravaggio, no”.