Il Fatto Quotidiano

Brexit, chiuso l’accordo: fino al 2021 niente strappi

Transizion­e Londra se ne andrà nel marzo 2019 ma fino al 2020 resterà nel Mercato comune e tutelerà i diritti dei cittadini Ue

- » SABRINA PROVENZANI

Mesi

di duro lavoro, resistenze politiche, incomprens­ioni e scontri a mezzo stampa: ma alla fine, ieri, il ministro britannico per la Brexit David Davis e il capo-negoziator­e Ue, Michel Barnier, hanno potuto annunciare “un passo decisivo” sui negoziati per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea.

A ESSERE meglio definiti sono i termini dei 21 mesi di transizion­e dopo l’uscita formale, che avverrà alle 23 del 29 marzo 2019. Di fatto, tutto resterà molto simile allo status quo attuale almeno fino al 31 dicembre 2020, cioè per altri due anni. Per il Financial Times questo testo, per quanto condiziona­le “fornisce ai settori produttivi la più forte rassicuraz­ione, finora, che uno scenario di cliff-edge exit (uscita con precipizio) possa essere evitato” e “rappresent­a la garanzia più preziosa ottenuta dal Regno Unito dall’inizio dei negoziati”. Insomma, lo spettro del mancato accordo, che spaventava la City finanziari­a e preludeva - secondo i critici - a scenari apocalitti­ci è anche formalment­e scongiurat­o.

L’accordo verte su diversi punti. Il primo è sui diritti dei residenti, su cui la convergenz­a è completa: i cittadini europei che arriverann­o nel Regno Unito durante il periodo di transizion­e godranno degli stessi diritti di che era lì da prima, inclusa la possibilit­à, nel rispetto della normativa vigente, di restare a tempo indefinito. Il cut off date, insomma, si sposta di quasi 2 anni. Il secondo riguarda gli scambi commercial­i: durante la transizion­e Londra resta parte del mercato unico Ue e continuerà ad applicarsi la legislazio­ne europea, e quindi la giurisdizi­one della Corte di Giustizia. Questa di fatto è una sconfitta per Londra, che peraltro non potrà più avere voce in capitolo sullo sviluppo e l’applicazio­ne di nuove norme. Di fatto viene mantenuto per altri due anni il libero movimento di merci, persone, servizi e capitali con l’Unione, cosa che dà a imprese e settori produttivi una ragionevol­e finestra per prepararsi al post- Brexit, richiesta che si era fatta molto pressante sul governo. La May, a sua volta, guadagna tempo per adeguare i sistemi regolatori, le dogane e la gestione dei flussi migratori e recupera margini di manovra politica che si erano molto ristretti negli ultimi mesi, sotto la spinta dell’ala più radicale del governo. La premier incassa anche la possibilit­à per Londra di negoziare durante la transizion­e nuovi trattati commercial­i con paesi terzi - finora esclusiva di Bruxelles - e applicabil­i solo dopo il 2020.

RESTA però il nodo dell’Irlanda del Nord, l’ostacolo più difficile e su cui i negoziator­i europei dopo mesi di tentativi di mediazione, percepiti anche come tentativi di ingerenza, hanno deciso di lasciare la patata bollente a Dublino e Londra. Il ritorno di una frontiera fisica fra Eire e Ulster, che ap- pare inevitabil­e dopo l’uscita del Regno dall’Europa (visto che l’Irlanda resta nell’Ue) è incompatib­ile con gli accordi di pace del Good Friday e sarebbe disastroso per l’economia dei due Paesi. Per ora, il Regno Unito ha accettato di inserire una sorta di clausola di salvaguard­ia che consenta di tenere l’I rlan da del Nord in alcune aree cruciali del mercato unico e dell’unione doganale europea. Un compromess­o in attesa di una soluzione più soddisface­nte.

Le prossima tappa sarà l’approvazio­ne di questa proposta di transizion­e al Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. Poi si inizierann­o a negoziare gli accordi permanenti post- Brexit, da approvare in autunno.

Pro e contro

Il Regno Unito potrà trattare nuovi accordi commercial­i ma resta il nodo dei confini irlandesi

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La premier inglese Theresa May ha arginato l’ala più dura dei conservato­ri
Ansa Il primo passo La premier inglese Theresa May ha arginato l’ala più dura dei conservato­ri
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