LA FINE DEI MAGISTRATI IN POLITICA
Èimpressionante il numero degli “impresentabili” che sta per dare l’assalto alla massima istituzione del Paese. È grazie al Fatto che i cittadini hanno avuto la possibilità di conoscere i “curriculum” giudiziari di tanti possibili “onorevoli” tra i quali si annoverano condannati, arrestati, prescritti, indagati e imputati per peculato, corruzione, falso, truffa, bancarotta, abuso di ufficio, turbativa d’asta, voto di scambio. L’ex sottosegretario Giovanni Legnini, oggi vicepresidente del Csm, incredibilmente, ha pontificato che “il fatto che un politico sia indagato non dovrebbe comportare le sue dimissioni o l’esclusione dalle candidature”.
IN QUESTA CAMPAGNAelettorale, imperano poi le “dynasty” del voto: i parenti dei politici eccellenti in corsa per il Parlamento sono tanti: figli, mogli e nipoti. A questa disdicevole pratica non si è sottratto anche, sia pure in misura più ridotta rispetto agli altri partiti (due casi), il Movimento 5 Stelle così offuscando, in parte, il merito di non aver presentato “impresentabili”. A questo si aggiunge il continuo passaggio di candidati da un partito all’altro. Contro questo indecente mercato, poco o nulla possono i cittadini il cui primario diritto di scegliere i propri rappresentanti è stato ulteriormente compresso dalla peggiore legge e- lettorale mai approvata.
In questo contesto una drastica riduzione delle candidature dei magistrati può da un lato indurre il sospetto che i politici preferiscano i pregiudicati ai giudici, dall’altro sembra che stia per chiudersi una stagione che ha visto un gran numerodi magistrati “scendere”, impropriamente, in politica. Non mancano le eccezioni tra le quali la più significativa è quella del magistrato Cosimo Ferri, da anni sottosegretario alla Giustizia (in quota Pdl), e oggi candidato Pd in collegi “blindati”. Sarebbe opportuno che costui – se eletto – si dimettesse dall’ordine giudiziario, non solo per l’impegno profuso nell’esecutivo, quanto per essere leader di una corrente associativa di magistrati. Sembra inopportuno che un magistrato, diventato parlamentare (e, quindi, politico), possa ancora essere un punto di riferimento di una corrente di magistrati.
Secondo Legnini “il Csm ha contribuito a un alleggerimento della tensione tra politica e magistratura grazie alla stesura di una delibera che, purtroppo, però, non è stata approvata dal Parlamento, che regolamenta l’accesso alle candidature per i magistrati in servizio e il loro reingresso in ufficio”. Ma quanto prevede la delibera è inadeguato a risolvere il problema. Per risolverlo è necessaria una legge che vieti ai magistrati di candidarsi nelle competizioni elettorali, salvo che si dimettano dall’ordine giudiziario. Né si può obiettare che in questo modo i magistrati vengono privati del diritto di elettorato passivo, perché ciò gli è sempre consentito dismettendo una carica che li vede far parte di un ordine che la Costituzione vuole “autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Se proprio non si volesse addivenire ad una decisione del genere, va statuito che il magistrato deve essere collocato, inderogabilmente, presso l’Avvocatura dello Stato o in un ruolo autonomo del ministero di Giustizia.
POTERI SEPARATI In lista pochi giudici e molti indagati ma bisogna comunque eliminare i privilegi delle toghe che si candidano
ALTRA ALTERNATIVA è quella di prevedere che il periodo di consiliatura non venga computato ai fini della progressione in carriera. Il magistrato, al termine del mandato rientra – proprio perché non ha esercitato la funzione – nel grado e nell’anzianità (anche economica) che aveva al momento della sua elezione. Ciò costituirebbe un deterrente per i magistrati desiderosi di fare politica e metterebbe fine a quello scandaloso privilegio per il quale magistrati, fuori ruolo per anni, continuano a ottenere avanzamenti di carriera con lusinghiere valutazioni di professionalità senza aver mai più fatto una sentenza, un’udienza, un’indagine.