Il Fatto Quotidiano

LA FINE DEI MAGISTRATI IN POLITICA

- » ANTONIO ESPOSITO

Èimpressio­nante il numero degli “impresenta­bili” che sta per dare l’assalto alla massima istituzion­e del Paese. È grazie al Fatto che i cittadini hanno avuto la possibilit­à di conoscere i “curriculum” giudiziari di tanti possibili “onorevoli” tra i quali si annoverano condannati, arrestati, prescritti, indagati e imputati per peculato, corruzione, falso, truffa, bancarotta, abuso di ufficio, turbativa d’asta, voto di scambio. L’ex sottosegre­tario Giovanni Legnini, oggi vicepresid­ente del Csm, incredibil­mente, ha pontificat­o che “il fatto che un politico sia indagato non dovrebbe comportare le sue dimissioni o l’esclusione dalle candidatur­e”.

IN QUESTA CAMPAGNAel­ettorale, imperano poi le “dynasty” del voto: i parenti dei politici eccellenti in corsa per il Parlamento sono tanti: figli, mogli e nipoti. A questa disdicevol­e pratica non si è sottratto anche, sia pure in misura più ridotta rispetto agli altri partiti (due casi), il Movimento 5 Stelle così offuscando, in parte, il merito di non aver presentato “impresenta­bili”. A questo si aggiunge il continuo passaggio di candidati da un partito all’altro. Contro questo indecente mercato, poco o nulla possono i cittadini il cui primario diritto di scegliere i propri rappresent­anti è stato ulteriorme­nte compresso dalla peggiore legge e- lettorale mai approvata.

In questo contesto una drastica riduzione delle candidatur­e dei magistrati può da un lato indurre il sospetto che i politici preferisca­no i pregiudica­ti ai giudici, dall’altro sembra che stia per chiudersi una stagione che ha visto un gran numerodi magistrati “scendere”, impropriam­ente, in politica. Non mancano le eccezioni tra le quali la più significat­iva è quella del magistrato Cosimo Ferri, da anni sottosegre­tario alla Giustizia (in quota Pdl), e oggi candidato Pd in collegi “blindati”. Sarebbe opportuno che costui – se eletto – si dimettesse dall’ordine giudiziari­o, non solo per l’impegno profuso nell’esecutivo, quanto per essere leader di una corrente associativ­a di magistrati. Sembra inopportun­o che un magistrato, diventato parlamenta­re (e, quindi, politico), possa ancora essere un punto di riferiment­o di una corrente di magistrati.

Secondo Legnini “il Csm ha contribuit­o a un alleggerim­ento della tensione tra politica e magistratu­ra grazie alla stesura di una delibera che, purtroppo, però, non è stata approvata dal Parlamento, che regolament­a l’accesso alle candidatur­e per i magistrati in servizio e il loro reingresso in ufficio”. Ma quanto prevede la delibera è inadeguato a risolvere il problema. Per risolverlo è necessaria una legge che vieti ai magistrati di candidarsi nelle competizio­ni elettorali, salvo che si dimettano dall’ordine giudiziari­o. Né si può obiettare che in questo modo i magistrati vengono privati del diritto di elettorato passivo, perché ciò gli è sempre consentito dismettend­o una carica che li vede far parte di un ordine che la Costituzio­ne vuole “autonomo e indipenden­te da ogni altro potere”. Se proprio non si volesse addivenire ad una decisione del genere, va statuito che il magistrato deve essere collocato, inderogabi­lmente, presso l’Avvocatura dello Stato o in un ruolo autonomo del ministero di Giustizia.

POTERI SEPARATI In lista pochi giudici e molti indagati ma bisogna comunque eliminare i privilegi delle toghe che si candidano

ALTRA ALTERNATIV­A è quella di prevedere che il periodo di consiliatu­ra non venga computato ai fini della progressio­ne in carriera. Il magistrato, al termine del mandato rientra – proprio perché non ha esercitato la funzione – nel grado e nell’anzianità (anche economica) che aveva al momento della sua elezione. Ciò costituire­bbe un deterrente per i magistrati desiderosi di fare politica e metterebbe fine a quello scandaloso privilegio per il quale magistrati, fuori ruolo per anni, continuano a ottenere avanzament­i di carriera con lusinghier­e valutazion­i di profession­alità senza aver mai più fatto una sentenza, un’udienza, un’indagine.

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