Il Fatto Quotidiano

La corsa al “nuovo oro” nella fabbrica dei bitcoin

IL REPORTAGE Nella Bulgaria ex-comunista, dove nasce la criptomone­ta

- ▶ DELLA SALA

■Viaggio nel deserto industrial­e, a 30 minuti da Sofia: nei capannoni abbandonat­i si creano le monete che finiranno sul mercato. Qui l’energia costa un terzo e ce ne vuole molta per far funzionare i computer

C’è la neve a Kremikovtz­i, in Bulgaria, a trenta minuti di auto dalla capitale Sofia: è la prima nevicata di dicembre e le temperatur­e sfiorano lo zero. Ricopre le decine di vecchi autobus abbandonat­i in ogni angolo che fino agli anni Novanta trasportav­ano gli operai nelle fabbriche in cui si lavorava il ferro. Almeno 20mila lavoratori che, durante il comunismo, venivano prelevati dalla periferia della città dove erano stati messi a vivere e condotti in quest’area industrial­e. Oggi è tutto abbandonat­o: si vedono le sagome delle ciminiere e delle fabbriche nella nebbia. Le insegne con le scritte in cirillico sono sbiadite, i taxi arrivano a fatica e grossi cani da guardia si aggirano in qu est ’ area spettrale. Un tempo qui si produceva e si facevano soldi, poi quello che gli abitanti chiamano “il sistema capitalist­ico” ha reso antieconom­ico lavorare il ferro. “In Bulgaria non ce n’è – spiegano – e importarlo costava troppo”. Le fabbriche hanno chiuso una dopo l’altra, non è rimasto nulla se non un silenzio inquietant­e. Eppure, tra questi scheletri industrial­i, si producono soldi, moneta. Meglio: criptomone­ta. Inaspettat­amente c’è una miniera d’oro nascosta, ci sono le “fabbriche di Bitcoin” europee, quei luoghi dove nasce la moneta virtuale di cui tutti parlano da mesi e di cui tutti si chiedono la provenienz­a. Chi c’è dietro? Come nasce? Esiste davvero una “fabbrica di bitc oi n”? Sì, esiste. Anzi, esistono.

Così si fanno soldi nella fabbrica abbandonat­a

Incontriam­o Gianluca Mazza e Alekos Filini in una stradina di Sofia. Sono ospiti di una loro socia bulgara. Per chiamare il taxi bisogna usare a un app sullo smarphone. “I tassisti non parlano molto inglese – spiega Gianluca – e il posto dove dobbiamo andare non è facile da spiegare”. Man mano che ci si allontana dalla città, il paesaggio cambia. I palazzoni della periferia, i campi innevati, le baracche, le ferrovie arrugginit­e con i vagoni altrettant­o arrugginit­i. Quando appaiono le sagome dei primi capannoni industrial­i è chiaro che siamo in una zona abbandonat­a. Le scritte e le indicazion­i sono sbiadite, non c’è un’anima, incrociamo una sola auto. Ci fermiamo nel piazzale di una struttura azzurrina. Azzurra la facciata, il pannello su cui c’era la vecchia denominazi­one, azzurra la guardiola dove c’è una guardiana a cui fanno compagnia due grossi cani che un po’ abbaiano e un po’chiedono di essere accarezzat­i. Al l’ultimo piano, c ’ è la “0301”, la farm - fabbrica - di questi due italiani che producono criptovalu­te in Bulgaria. Fa freddo fuori, freddo dentro la struttura. Saliamo al quarto piano: i muri sono scrostati, le stanze fatiscenti ma in fase di ristruttur­azione. Al piano della fabbrica si accede attraverso un cancello verde: un passo e ci si ritrova in una galleria del rumore. C’è un ronzio fortissimo e costante che aumenta d’intensità a ogni passo. “Sono le ventole”, spiegano. Un sofisticat­o sistema di aerazione mantiene bassa la temperatur­a. Ce n’è bisogno, nonostante il freddo glaciale di Sofia. Quando Alekos prova a spegnerle, l’ambiente si surriscald­a in pochi minuti. “È colpa delle macchine - spiega - il loro lavorio produce calore”. Aprire le finestre non basta, le ventole vengono riaccese dopo poco: le macchine devono stare al fresco altrimenti rischiano di bloccarsi e rompersi.

Gli scaffali che accumulano premi

Siamo nella fabbrica di criptomone­te: file di scaffali su cui sono incastrate centinaia di schede video che lavorano notte e giorno per “minare”, ovvero per produrre bitcoin e altcoin (criptomone­te alternativ­e al bitcoin). Si tratta di componenti utilizzate per i videogioch­i: la complessit­à del lavoro richiede infatti alte prestazion­i. Ogni“macchina” è composta da sei schede video e ognuna fa eseguire un programma informatic­o che lavora per ottenere ‘un premio’. “Le macchine - prova a spiegarci Gianluca - fanno girare un algoritmo. Il loro lavoro, e la corrente che consumano, viene ripagato in criptovalu­te che finiscono sul nostro portafogli virtuale”. Sono loro poi a inserirle nel circuito, vendendole. Alekos e Gianluca al momento minano soprattutt­o criptomone­te alternativ­e, dagli Ethereum a Zcash, poi le convertono in bitcoin.

Come si aggira la Cina monopolist­a

Il monopolio delle macchine per produrre direttamen­te bitcoin è infatti cinese e appartiene all’azienda Bitmain. “Periodicam­ente - spiega Gianluca - mette in vendita un migliaio di mac- chine in stock online e c’è la corsa ad acquistarl­e visto che per mesi non ne vendono più”. Così in Bulagaria c’è chi le compra a 5mila leva ( la moneta bulgara che vale più o meno 50 centesimi di euro) e le rivende al doppio del prezzo. Per aggirare il problema e le truffe, i minatori di criptomone­te ricorrono alle schede video. Costano circa 600 euro l’una e il prezzo aumenta al crescere della loro potenza. Nella farm 0301 c’è un investimen­to di 600mila euro (provenient­e da 13 investitor­i italiani e non). “A gennaio - spiega Gianluca - le macchine raddoppier­anno e il rientro del capitale è previsto entro un anno”. In tre mesi si sono però già ripagati il costo di quasi metà delle macchine.

Il business delle farm e dell’energia low cost

Ivan Kamburov è invece bulgaro. È il titolare di un’azienda che si chiama Mint ed è il fornitore dell’infrastrut­tura. “Guarda - ci dice mostrandoc­i una foto sul suo smartphone - ci crederesti che si tratta di una fabbrica?”. È l’immagine di una struttura abbandonat­a e fatiscente: semidistru­tta, pezzi di legno ovunque e vetri frantumati, immondizia e residui industrial­i. “Questa sarà la pros-

L’ALTRA CINA Cinque macchine consumano la stessa corrente di una famiglia, negli stanzoni ce ne sono a centinaia

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Sofia Il deserto industrial­e
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 ??  ?? Soli nel nulla La “fabbrica” di bitcoin a 30 km da Sofia tra i capannoni abbandonat­i
Soli nel nulla La “fabbrica” di bitcoin a 30 km da Sofia tra i capannoni abbandonat­i

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