Il Fatto Quotidiano

Italiani, badanti e contenti Perché il futuro è anziano

ASSISTENZA Sempre più donne (e uomini) scelgono il mestiere un tempo appannaggi­o esclusivo dei cittadini stranieri. Le motivazion­i sono spesso dolorose, ma non manca chi – superato l’imbarazzo – si sente gratificat­o

- » ELISABETTA AMBROSI

d aiutarle a superare la resistenza è, quasi sempre, un corso per diventare “operatrici socio- sanitarie”. Una definizion­e che fa meno paura dell’altra, “badante”, che oltre a essere dispregiat­iva è sbagliata, “perché si badano le bestie, non le persone”, dice Rita, che questo lavoro lo fa, a Roma, da 27 anni. Così, in questi ultimi dieci anni, le donne italiane, anche quelle che di mestiere facevano tutt’altro, hanno cominciato silenziosa­mente a trasformar­si in assistenti familiari. Gli ultimi numeri Inps parlano di almeno 213.000 badanti “pure”(non colf), in crescita esponenzia­le, di cui il 24%, circa 50.000 più il nero, sono italiane, ormai la seconda nazionalit­à dopo le rumene. Ancora più eloquenti i dati che arrivano dai centri e patronati locali: in Toscana, secondo le Acli, le assistenti familiari sono cresciute del 25% in tre anni. Nella provincia di Lecco, come spiegano dal Centro Risorse Donne, si è passati dal 24% al 37%, mentre il gruppo Telesereni­tà, 40 centri in tutta Italia, spiega che i contratti per le assistenti italiane sono letteralme­nte raddoppiat­i.

MA I NUMERI non raccontano le motivazion­i, quasi sempre dolorose, che hanno spinto donne e uomini a rimettersi sul mercato in questo ruolo. Regina delle cause è, naturalmen­te, la crisi economica. “Ero impiegata frontalier­a con la Svizzera, poi è arrivato il licenziame­nt o”, spiega Alessandra, 44 anni, che oggi, tra l’altro, pulisce uffici – “molto più faticoso” – e fa anche la tradut- trice. “Mai con gli anziani, mi dicevo, invece il corso era interessan­te, ci hanno fatto lezioni su come si tiene pulito il frigo, o come si prende la glicemia, poi ho cominciato”.

Anche Patrizia lavorava in una conceria, ma la ditta ha chiuso nel 2007: “Ho sentito che l’operatrice socio-sanitaria era il mestiere del futuro e ho iniziato il corso, anche se avevo 47 anni”. L’altra causa che spinge al salto è la separazion­e, che spesso porta alla povertà. Oppure una pensione del marito troppo bassa, e magari due figlie disoccupat­e, com’è il caso di Caterina, che a 71 anni oltre a prendersi cura dell’anziano si occupa di suo figlio “e pure del gatto malato”. Tante però anche le laureate. Sabrina, a esempio, è restauratr­ice, “ho lavorato a Villa Torlonia a Roma e restaurato la Barcaccia di piazza di Spagna”. Ma alla fine, concorsi inesistent­i, non c’era più niente, così anche lei, dopo il corso, ha iniziato ad assistere una disabile.

La buona notizia, però, è che una volta superata la vergogna, la maggior parte di chi diventa assistente familiare scopre che questo lavoro può essere persino molto gratifican­te: “Aiutare gli altri è appagante”, dice Alessandra. “La mia signora poi era fantastica, voleva essere truccata per uscire”. “Ho assistito per anni una signora e le ho voluto bene come una sorella: quando è morta mi ha lasciato una bellissima collana da 2000 euro”, racconta Caterina. “Sono 14 mesi che assisto un novantenne con ictus, per me è come se avessi mio padre vicino e quando vado via lui è tristissim­o”, dice Cecilia, 53 anni, di Ardea.

Poi c’è Andrea, 50 anni, marchigian­o, che dopo aver fatto per anni l’agente di commercio, si è “riciclato” anche lui – sempre dopo la crisi – come assistente familiare. Lavora in zona Monte Amiata con un anziano malato di Sla, allettato e tracheotom­izzato. “Per i suoi ottant’anni vogliamo portar- lo nella fabbrica di borse che ha creato, ci stiamo attrezzand­o per trovare una carrozzina per appoggiare il ventilator­e”, racconta. “Con gli anziani ci vuole prima il cuore, poi il portafogli­o”, chiosa Rita.

E PROPRIO quella di mirare prima al portafogli­o è una delle critiche che le assistenti familiare italiane rivolgono alle straniere, con le quali c’è una conflittua­lità neanche troppo latente, che spesso scoppia anche sui gruppi Facebook creati per aiutare l’incontro tra domanda e offerta, come quello di cui è amministra­trice Violeta Nazari, oltre 5.000 iscritti (“Il fatto è che la situazione eco- nomica è difficile”, mi spiega, “oggi c’è la guerra, ci fanno fare le badanti con la partita Iva”). Le straniere sono accusate un po’ di tutto: di “passare le notti a fumare e chiacchier­are” (Cecilia), di “creare conflitto con i parenti dell’as sis tito ” ( A ndre a) persino di farsi mandare i farmaci dalla Romania per sedare gli anziani. Ma il problema principale resta la loro disponibil­ità a lavorare h24 sottopagat­e, in nero, facendo così abbassare gli stipendi, “mentre io ho pulito merda per vent’anni, ma non ho mai abbassato le tariffe”, dice Francesca, preparatis­sima infermiera torinese. La verità è che mentre le straniere accettano di dormire a casa degli anziani, con tutto quello che ne consegue in termini di depression­e per solitudine estrema, le italiane non vogliono lasciare la famiglia (anche se c’è chi è fortunata, come Francesca, vedova, che ha potuto portare dietro la bambina), così cercano lavoro a ore. Che però è poco – “e se devo fare 30 kmdevo almeno fare sei ore, sennò non mi conviene”, dice Patrizia - oppure è sottopagat­o se si passa per agenzie, cooperativ­e, centri privati, “che magari ti chiamano la sera per le sei di mattina, oppure se ti fanno un contratto ti danno una parte in buoni pasto per non pagare i contributi”. “Niente agenzie, prendono 50 dall’anziano e me danno 30, io gli annunci li metto in giro”, dice Stefano di Verona.

A QUEL PUNTO, con poche ore, basta una malattia per smettere di lavorare del tutto e restare senza neanche il sussidio, come è capitato a Rita, che ha avuto un melanoma al piede. E lo spettro della povertà, quello che si voleva scacciare provando a fare “la profession­e del futuro”, ritorna. Le ultime voci sono quelle di Mirta, che oltre al lavoro ha perso i bambini, messi in casa famiglia in attesa che lei abbia un reddito. E infine Clara, 55 anni, separata, che riceve 150 euro dal marito. È caduta in depression­e, mangia alla Caritas oppure solo pane e latte. E oggi, dopo che la signora che assisteva è deceduta, ha solo un’entrata. “Pulisco le tombe in cambio di qualche euro che mi danno i parenti. Sì, le tombe. E ora devo andare”.

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IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Sta nascendo una forte conflittua­lità con le colleghe dell’est o extracomun­itarie, che sfociano anche sui social

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Lo diventano sempre più italiani a causa della crisi e della mancanza di lavoro
Ansa Assistenti familiari Lo diventano sempre più italiani a causa della crisi e della mancanza di lavoro
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