Il Fatto Quotidiano

A cosa servono tutti i miliardi per la missione?

Afghanista­n All’Italia (seconda solo agli Stati Uniti) la missione costa 1,3 milioni di euro al giorno. Dal 7 ottobre 2001 pochi risultati. E i talebani controllan­o metà Paese

- » ENRICO PIOVESANA

SBiografia ASHRAF GHANI Di etnia Pashtun (1949), si è laureato nel 1973 presso la American University di Beirut e specializz­ato in Antropolog­ia nel 1977 alla Columbia University È stato funzionari­o della Banca Mondiale, ministro delle Finanze (2002-2004) e consiglier­e capo del presidente Karzai. È stato sconfitto al primo turno delle consultazi­oni dell'aprile 2014, ma pesanti accuse di brogli in merito allo scrutinio dei voti del secondo turno gli hanno assegnato la vittoria, subentrand­o a Karzai nella carica presidenzi­ale

ette miliardi e mezzo in sedici anni, cioè quasi mezzo miliardo l’anno, un milione e trecentomi­la euro al giorno. Questo – a fronte di 260 milioni per la cooperazio­ne civile – è il costo della partecipaz­ione dell’Italia alla campagna militare afgana, la più lunga della nostra storia, secondo il rapporto “Afghanista­n, sedici anni dopo” pubblicato dall’Osservator­io Milex sulle spese militari italiane, che traccia un bilancio di questa guerra, iniziata il 7 ottobre 2001.

In realtà l’onere finanziari­o complessiv­o della missione italiana è assi più pesante consideran­do i suoi costi indiretti, difficilme­nte quantifica­bili: l’acquisto ad hoc di armi, munizioni, mezzi da combattime­nto ed equipaggia­menti, il loro continuo aggiorname­nto a seconda delle esigenze operative e il ripristino delle scorte, l’a dd e st r am e nt o specifico del personale e, non da ultimo, i costi sanitari delle cure per le centinaia di reduci feriti e mutilati.

IN SEDICI ANNI la guerra in Afghanista­n è costata complessiv­amente 900 miliardi di dollari: 28mila dollari per ogni cittadino afgano (che mediamente ha un reddito di 600 dollari l’anno).

In termini umani è costata la vita di 3.500 soldati occidental­i ( 53 italiani) e di 140mila afgani tra combattent­i (oltre 100mila, un terzo governativ­i e due terzi talebani) e civili (35mila, in aumento negli ultimi anni, quelle registrate dall’Onu: dato molto sottostima­to che non tiene conto delle tante vittime civili non riportate). Senza considerar­e i civili afgani morti a causa dell’emergenza umanitaria provocata dal conflitto: 360mila secondo i ricercator­i americani della Brown University.

Chi sostiene la necessità di portare avanti questa guerra si appella alla difesa dei progressi ottenuti. Quali? A parte un lieve calo del tasso di analfabeti­smo (dal 68% del 2001 al 62% di oggi) e un modestissi­mo migliorame­nto della condizione femminile (limitato alle aree urbane e imputabile al lavoro di organizzaz­ioni internazio­nali e Ong, non certo alla Nato), l’Afganistan ha ancora oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile (113 decessi su mille nati), tra le più basse aspettativ­e di vita del pianeta (51 anni, terzultimo prima di Ciad e Guinea Bissau) ed è ancora uno dei Paesi più poveri del mondo (207° su 230 per ricchezza procapite).

Politicame­nte, il regime integralis­ta islamico afgano (fondato sulla sharìa e guidato da ex signori della guerra della minoranza tagica) è tra i più inefficien­ti e corrotti al mondo e ben lontano dall’essere uno Stato di diritto democratic­o: censura, repression­e del dissenso e tortura sono la norma. Per non parlare del problema del narcotraff­ico (si veda articolo accanto).

La cartina al tornasole dei progressi portati dalla presenza occidental­e è il crescente numero di afgani che cerca rifugio all’estero: tra i richiedent­i asilo in Europa negli ultimi anni, gli afgani sono i più numerosi dopo i siriani.

ANCHE dal punto di vista militare i risultati sono delu- denti. Dopo sedici anni di guerra, i talebani controllan­o o contendono il controllo di quasi metà Paese. Una situazione imbarazzan­te che ha spinto il presidente americano Donald Trump a riprendere i raid aerei e rispedire truppe combattent­i al fronte, e la Nato a spostare i consiglier­i militari dalle retrovie alla prima linea per gestire meglio le operazioni e intervenir­e in caso di bisogno.

SUL FRONTE occ ide nta le sotto comando italiano dove, per fronteggia­re l’avanzata talebana, dall’in iz io dell’anno i nostri soldati (un migliaio di uomini, il secondo contingent­e dopo quello Usa: alpini della brigata Taurinense e forze speciali del 4° reggimento alpini paracaduti­sti) sono tornati in prima linea a pianificar­e e coordinare le offensive dei soldati afgani.

Gli esperti militari dubitano del successo di questa

strategia: perché mai poche migliaia di truppe che combattono a fianco dell’inaffidabi­le esercito locale dovrebbero riuscire laddove gli anni passati hanno fallito 150mila soldati occidental­i armati fino ai denti? Secondo esperti e diplomatic­i, l’unica via d’uscita è il dialogo con i talebani e la loro inclusione in un governo federale e multietnic­o, il ritiro delle truppe Usa e Nato e la riconversi­one della cessata spesa militare in ricostruzi­one e cooperazio­ne.

È opportuno ricordare che i talebani, fortemente sostenuti dalla maggioran- za pashtun degli afgani, non rappresent­ano una minaccia per l’Occidente poiché la loro agenda è la liberazion­e nazionale, non la jihad internazio­nale: combattono i jihadisti stranieri dell’Isis-Khorasan infiltrati­si in Afghanista­n e non hanno mai organizzat­o attentati in Occidente (né hanno avuto alcun ruolo negli attacchi dell’11 settembre, che avevano apertament­e condannato).

L’ALTERNATIV­A è il prolungame­nto indefinito di una guerra sanguinosa che nessuno ha la forza di vincere e che sprofonder­à l’Afghanista­n in una situazione di caos e instabilit­à crescenti, facendone un rifugio ideale per formazioni terroristi­che transnazio­nali come ISis-Khorasan.

Una prospettiv­a pericolosa ma utile da un punto di vista geostrateg­ico, poiché uno stato di guerra permanente giustifich­erebbe un’altrettant­o permanente presenza militare occidental­e che, seppur minima, basterebbe a scoraggiar­e interferen­ze da parte di potenze regionali avverse ( Russia, Cina, Iran, Pakistan) desiderose di estendere la loro influenza strategica, stroncare il narcotraff­ico afgano che le colpisce e, non ultimo, mettere le mani sulle ricchezze minerarie afgane (in particolar­e le ‘terre rare’ indispensa­bili per l’industria hi-tech) valutate tra i mille e i tremila miliardi di dollari.

 ??  ??
 ??  ??
 ?? Ansa ?? Armi e potere In alto, un ceck point a Herat Sotto, Pinotti in visita al contingent­e italiano e una commemoraz­ione di Bin Laden
Ansa Armi e potere In alto, un ceck point a Herat Sotto, Pinotti in visita al contingent­e italiano e una commemoraz­ione di Bin Laden
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy