Arrivano i barbari! Al Tesoro provano a blindare i vertici
Previdenti Le elezioni sono incerte e, anche su pressioni della Bce è pronta la proroga per Ragioniere dello Stato e direttore generale
Al riparo dal processo elettorale. È un’e sp re ssione cara a Mario Monti, che l’ha usata almeno un paio di volte pubblicamente. S’intende, secondo il senatore a vita, la possibilità di fare la cosa giusta - o almeno quella che si ritiene giusta - senza l’assillo di ottenere il consenso dei cittadini (sottotesto: così volubili e poco saggi). Ci sono in gestazione un paio di decreti di “proroga incarico” pensati proprio per essere al riparo del processo elettorale e - si potrebbe dire non a caso - sponsorizzati entrambi dalla Bce, la banca centrale europea oggi diretta dall’ex direttore generale del Tesoro Mario Draghi: si tratta, in sostanza, di allungare di un anno o 18 mesi l’incarico delle due più importanti poltrone del fondamentale ministero del Tesoro, ovvero quella di Ragioniere generale dello Stato e quella di direttore generale del dicastero, vale a dire Daniele Franco e Vincenzo La Via.
IN ENTRAMBI I CASI, si potrebbe definire una sorta di “consiglio” al prossimo governo o anche un tentativo di sfruttare i primi mesi di incertezza di un eventuale esecutivo di “barbari”, gente poco avvezza ai riti dell’alta burocrazia: quelle poltrone sono, infatti, sottoposte alla legge sullo spo il system, vale a dire che tanto il Ragioniere generale che il direttore generale del Tesoro decadono entro 90 giorni dall’insediamento di un nuovo governo se non esplicitamente riconfermati.
Ma il ragionamento dietro la proroga è semplice: uno si ritrova lì due grand commis dal gran curriculum che hanno davanti solo un anno di contratto e può essere tentato di lasciarli al loro posto scegliendo con calma i sostituti. E così passa un anno e poi, si sa, il provvisorio nella burocrazia italiana è spesso definitivo. Oltre al suo valore in sé, le proroghe al Tesoro servono - come vi raccontiamo in basso - ad aprire la porta agli altri rinnovi pre-elettorali: dal capo della Polizia (che scade a fine aprile 2018) in giù.
Paradossalmente l’unico ostacolo alla firma di Sergio Mattarella sotto al decreto presidenziale di proroga è Matteo Renzi: tanto Daniele Franco che Vincenzo La Via sono legati a doppio filo a Ignazio Visco e Banca d’Italia (oltre che a Mario Draghi), dalle cui file provengono. Tutta gente che l’ex premier ritiene responsabile dei molti infortuni in materia bancaria del suo governo: dal pasticcio del mezzo bail-in su Etruria & C. all’impatto della riforma delle Popolari sulle due venete recentemente collas- sate, passando per Mps.
Renzi voleva già cacciarli agli albori del governo Gentiloni, ma non ne ebbe la forza (e Draghi sconsigliò di accedere alle richieste del giovane toscano): e così dopo un lungo braccio di ferro, Ser- gio Mattarella il 13 marzo scorso - cioè a 89 giorni esatti dall’insediamento di Gentiloni e a sole 24 ore dalla loro decadenza - firmò i rinnovi per Daniele Franco (fino al 19 maggio 2017) e Vincenzo La Via (fino al 14 maggio 2017).
IL CASO DEL CAPOdella Ragioneria generale dello Stato - la vera centrale ideologica a Roma del “consolidamento di bilancio” a tappe forzate detto volgarmente austerità - è il più complicato a livello pratico per un piccolo problema di norme. Daniele Franco - una vita in Bankitalia con una puntata alla Commissione Ue - compirà 65 anni il prossimo giugno e se, come pare dal suo curriculum, ha l’anzianità contributiva sufficiente, dovrebbe per legge essere collocato a riposo: la sua proroga, insomma, è allo studio anche tecnico-giuridico degli uffici del ministero (non sarebbe la prima volta, d’altra parte, che la norma sul collocamento a riposo viene aggirata per allungare la carriera a qualcuno).
Il rinnovo di Vincenzo La Via - al Tesoro negli anni Novanta, ma anche dirigente alla Banca mondiale e nel privato (Bpm e Banca Intesa) - è più facile dal punto di vista procedurale, ma non meno imbarazzante: proprio per la sua precedente esperienza al Tesoro, capo del dipartimento Debito pubblico, la Corte dei Conti gli contesta un danno erariale da circa 100 milioni di euro per i derivati speculativi stipulati con Morgan Stanley (il suo capo, cioè il direttore generale dell’epoca, era Mario Draghi).
Poltrone calde Rinnovo per 12-18 mesi per entrambi (scadono a metà maggio): l’unico a opporsi è Matteo Renzi