Per quei reportage fu assunto a Milano, la città che lo adottò
“SOVVERSIVO” L’editore del “Giornale dell’Emilia” decise di non farlo scrivere perché lo riteneva un “comunista sovversivo”
Il 9 agosto Enzo Biagi avrebbe compiuto novantasette anni: classe 1920. Il Fatto Quotidianocontinua nel racconto del Biagi “segreto”. Nato a Pianaccio un paesino sull’Appennino Tosco-Emiliano, sotto il monte Pizzetto, nel Comune di Lizzano in Belvedere. Di Pianaccio Biagi disse: “È l’inizio e la fine della favola della mia vita”. Sono dieci anni che il grande giornalista vi ha fatto ritorno, per sempre. Lì ha sposato la compagna di sessantadue anni di vita, Lucia, la madre di Bice, Carla e Anna. Lì per quattordici mesi ha fatto il partigiano. Lì sono nati molti dei suoi libri. Il mestiere del giornalista no, inizia a Bologna dove diventa giornalista professionista a ventun anni, ma pur tanto amata non è la città in grado di realizzare il sogno del giovane Enzo: diventare un inviato speciale per vedere e raccontare storie su e giù per il mondo. È Milano, la città dell’editoria, quella che Giovanni Verga definì “la città più città d’Italia” che gli offre l’opportunità di realizzare quel sogno, e che lo consacra una grande firma del giornalismo.
NEL DOPOGUERRA, il Resto del Carlino, giornale che aveva appoggiato il Duce durante il ventennio, era diventato, per volontà degli Alleati, il Giornale dell’Emilia (ritornerà al primo nome nel 1953 dopo un referendum tra i lettori), Biagi era uno dei redattori con il ruolo di vice critico cinematografico. All’inizio del 1951 successe il patatrac che gli provocò il primo provvedimento disciplinare della carriera. Luigi Pagliarini del Progresso d’Italia, foglio comunista, incontrato nel bagno che era in comune tra i due giornali, gli chiese se era contro la bomba atomica: “Anche contro chi fa boom con la bocca”, rispose Biagi. Il giorno dopo, il suo nome era fra quelli che avevano aderito al manifesto di Stoccolma contro la bomba atomica. Il direttore Giuseppe Longo, per volontà dell’editore, lo mise da parte e non gli fece più scrivere un articolo con l’accusa di essere un “comunista sovversivo”.
L’Italia è il Paese delle catastrofi naturali e non: alluvioni e terremoti, l’ultimo un anno fa ha colpito il Centro Italia. Nel novembre 1951 il Po uscì dagli argini, invase i poveri paesi del Polesine causando la più grande inondazione della storia. In redazione erano in pochi, e Longo fu costretto a recuperare Biagi e mandarlo ad Adria e dintorni. Quei pezzi sull’alluvione furono la sua fortu- na. Vennero letti da un editore attento ai giornali di provincia, Arnoldo Mondadori che lo chiamò a Milano e gli offrì il posto di redattore capo a Epoca, il settimanale diretto da Bruno Fallaci, zio di Oriana, che Biagi aveva conosciuto a Firenze durante la Resistenza, dove dirigeva il Pwb, il giornale del reparto propaganda degli americani. Fallaci fece da garante nei confronti dell’editore, la fama del comunista aveva già varcato i confini dell’Emilia.
Biagi ne discusse a lungo con Lucia perché l’idea di fare l’emigrante lo terrorizzava: Milano era lontanissima, e poi gli sembrava che fuori Bologna non esistesse la vita. “Insomma non sapevo cosa rispondere”, disse Biagi ricordando quei giorni. “Decido di chiedere uno stipendio di duecentocinquantamila lire al mese, convinto che non venisse accettato, un modo per dire di no alla proposta. Mondadori mi propose ventimila lire in più”.
ERA IL 1952quando il giornalista lasciò Bologna per Milano, la città che poi lo adottò. “Tutta la famiglia venne con me e lasciandomi alle spalle San Luca capii che il nostro era un viaggio senza ritorno”. Il ricordo di Biagi continua: “Lucia e io eravamo smarriti, una domenica decidemmo di portare Bice e Carla a vedere il Duomo e tenendoci per mano, quasi con la paura di perderci, imboccammo a piedi Corso Italia”. Dopo pochi anni diventò direttore di Epoca. Il più giovane d’Italia. L’alluvione del Polesine segnò per sempre la carriera di Enzo Biagi