I “femminili”, la trincea della disparità di genere
Un mistero si aggira nel mondo dell’editoria: l’esistenza di settimanali o mensili “femminili”, accompagnata dalla curiosa assenza di speculari magazine “maschili”. Certo, esistono giornali di tecnologia, oppure di motori, letti prevalentemente da uomini, ma non si chiamano “U” o“Uomini”, semplicemente parlano di argomenti che attirano in prevalenza il sesso maschile. L’esistenza di giornali “femminili” si fonda su un macroscopico equivoco: e cioè che esistano temi femminili, quando invece si tratta di questioni che interessano, o dovrebbero interessare, l’intero genere umano, mentre declinandole come affari del sesso debole si autorizza l’altro sesso a infischiarsene.
SI PARTE con argomenti come la gravidanza, il parto, l’allattamento. E qui un po’ ci sta che le donne siano più interessate, perché il corpo è il loro, anche se un mondo in cui l’uomo si interessasse di come si attacca, ad esempio, un bimbo al seno – questione complicatissima – sarebbe decisamente migliore. Ma nei magazine per donne non si considerano femminili solo questi temi, ma anche, ad esempio, la moda, la bellezza – o “beauty” – la cucina. Per noi è ormai un’abitudine aspettarsi le varie sezioni, ma a pensarci bene catalogare questi temi come “per donne” suggerisce il messaggio, neanche troppo implicito, che le donne debbano curare ossessivamente il loro corpo ed essere faticosamente sempre à la page in fatto di vestiti, quando il maschio – che guadagna il triplo – può felicemente fregarsene e aggirarsi sciatto in brache e calzini bianchi.
La chicca restano però sempre le pagine di cucina, quand’anche la si chiami “food”. In soldoni, comunicano che lei, magra e sui tacchi a spillo, deve anche sbattersi ai fornelli. Non proprio insomma, nonostante le copertine patinate con primi piani di Ceo milionarie (pescate quasi sempre dall’America), un messaggio di emancipazione e libertà.