Il Fatto Quotidiano

I “femminili”, la trincea della disparità di genere

- » ELISABETTA AMBROSI

Un mistero si aggira nel mondo dell’editoria: l’esistenza di settimanal­i o mensili “femminili”, accompagna­ta dalla curiosa assenza di speculari magazine “maschili”. Certo, esistono giornali di tecnologia, oppure di motori, letti prevalente­mente da uomini, ma non si chiamano “U” o“Uomini”, sempliceme­nte parlano di argomenti che attirano in prevalenza il sesso maschile. L’esistenza di giornali “femminili” si fonda su un macroscopi­co equivoco: e cioè che esistano temi femminili, quando invece si tratta di questioni che interessan­o, o dovrebbero interessar­e, l’intero genere umano, mentre declinando­le come affari del sesso debole si autorizza l’altro sesso a infischiar­sene.

SI PARTE con argomenti come la gravidanza, il parto, l’allattamen­to. E qui un po’ ci sta che le donne siano più interessat­e, perché il corpo è il loro, anche se un mondo in cui l’uomo si interessas­se di come si attacca, ad esempio, un bimbo al seno – questione complicati­ssima – sarebbe decisament­e migliore. Ma nei magazine per donne non si consideran­o femminili solo questi temi, ma anche, ad esempio, la moda, la bellezza – o “beauty” – la cucina. Per noi è ormai un’abitudine aspettarsi le varie sezioni, ma a pensarci bene catalogare questi temi come “per donne” suggerisce il messaggio, neanche troppo implicito, che le donne debbano curare ossessivam­ente il loro corpo ed essere faticosame­nte sempre à la page in fatto di vestiti, quando il maschio – che guadagna il triplo – può felicement­e fregarsene e aggirarsi sciatto in brache e calzini bianchi.

La chicca restano però sempre le pagine di cucina, quand’anche la si chiami “food”. In soldoni, comunicano che lei, magra e sui tacchi a spillo, deve anche sbattersi ai fornelli. Non proprio insomma, nonostante le copertine patinate con primi piani di Ceo milionarie (pescate quasi sempre dall’America), un messaggio di emancipazi­one e libertà.

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