Il Fatto Quotidiano

“Mio marito Nino Andreatta, un genio politico d’altri tempi”

Amore emorte Esce oggi lo struggente memoir di Giana M. Petronio, vedova dell’ex ministro della sinistra Dc che andò in coma nel dicembre ’99

- » FABRIZIO D’ESPOSITO

Il titolo, magnifico, è preso dal diario di Ada Gobetti, vedova di Piero: “È stata tutta luce. E penso tu non volessi che ti si piangesse, ma che si consideras­se la tua vita un capolavoro e un esempio”.

La lunga vita di Giana Marina Petronio Andreatta ha un Prima e un Dopo. Una crudele, dolorosa linea di divisione che attraversa la tarda serata del 15 dicembre 1999. Alla Camera si vota la Finanziari­a e l’ex ministro Beniamino Andreatta detto Nino ha un arresto cardiaco. I minuti corrono via e due deputati medici cercano di rianimarlo. Invano. Andreatta entra in coma per non uscirne più. Muore sette anni dopo a Bologna, il 26 marzo 2007.

Lui e sua moglie Giana si conobbero nel 1957 a Milano, all’Università Cattolica. Andreatta, meno che trentenne, era una promessa geniale nelle materie economiche. Lei, dieci anni in meno, una studentess­a di Scienze Politiche. In è stata tutta luce, che verrà presentato oggi a Roma alle 18, all’Associazio­ne Civita in piazza Venezia, Petronio Andreatta, psicoanali­sta, racconta la sua storia d’amore con “Nino”. Sullo sfondo, mezzo secolo di storia italiana. Non solo politica ma anche culturale e sociale. Andreatta fu un dc della sinistra dossettian­a, consiglier­e economico di Aldo Moro, più volte ministro (Tesoro, Esteri, Difesa). Ulivista, è stato il maestro di Romano Prodi e di Enrico Letta. è stata tutta luceè un ritratto vivido della vostra vita di coppia. Non è una biografia in ordine cronologic­o, ma un sorprenden­te memoir che riesce finalmente a dare, lei scrive, una forma al dolore. Dolore e sollievo allo stesso tempo. Ne avevo bisogno, è stata la mia personale “analisi” di uscita. Ho cercato fino in fondo, per “leggere” le emozioni che ho vissuto. E il bilancio è positivo. Quando ho conosciuto mio marito ero una ragazzotta sprovvedut­a non solo intellettu­almente. Lui mi ha aiutato a crescere, mi ha trasmesso una forte passione etica. Mi ha illuminato. Tutto riporta alla luce, che diventa scrittura.

La stesura del libro risale al 2003. Le mie notti erano di un’insonnia tranquilla, senza ansie, senza angoscia. Ho pensato di buttar già la storia della nostra famiglia. Volevo farlo per i miei figli, per i miei nipoti. Non doveva essere un libro per tutti. Alla Bompiani, alcune persone mi hanno detto che è una cosa d’altri tempi.

A ben vedere anche lo stile e la sostanza di Nino Andreatta sarebbero fuori posto in questa èra liquida di leader e populismo. Tutto comincia con il berlusconi­smo. Lei descrive così il giudizio di suo marito sull’ex Cavaliere: “Nino ebbe subito l’impression­e di trovarsi di fronte a un venditore di tappeti (senza offesa per la categoria)”.

Lui subì questo nuovo modo di fare politica. Ebbe un impatto quasi fisico. Era come se fosse stato investito. Talvolta era esterrefat­to per questo senso generale di disprezzo che animava tutti, senza differenze. Era consapevol­e della deriva che si sarebbe potuta innescare. Quando Berlusconi fu eletto nel 1994, disse “il prossimo premier sarà Pippo Baudo… e quello che è peggio è che sarà il nostro candidato”.

Non che nella Dc fossero tutte rose e fiori. Lei ricorda come il rifiuto di prestarsi ad alcune operazioni a favore dello Ior (la cassaforte del Vaticano, ndr) provocò l’ostracismo di Andreotti nei confronti di suo marito. I suoi giudizi sul Belzebù della Prima Repubblica sono taglienti nel libro.

Dopo il 15 dicembre 1999, i bigliettin­i che mi mandava Andreotti li giudicavo ipocriti. Però la dialettica politica nei partiti di quel tempo era sempre in termini civili. Mio marito era un cattolico adulto, che una volta si sarebbe detto progressis­ta. Ricordo che aveva buoni rapporti con i migliorist­i di Napolitano. In ogni caso la sera del 15 dicembre era stato a cena proprio con Andreotti, il quale mi disse che Nino era stato particolar­mente brillante.

Il 15 dicembre segna il Prima e il Dopo, che reggono la struttura narrativa del suo lavoro. Lei aggiunge dettagli e dubbi. A partire dal viaggio verso Roma da Bologna, dove abitavate. I dubbi riguardano i soccorsi. All’epoca ci fu una polemica. Sicurament­e ci sono degli eroi nella nostra sanità, ma il sistema è antiquato, e malfunzion­ante nel complesso, non al passo con i tempi. Andreatta è rimasto in coma sette anni. Nel libro ci sono alcuni passi struggenti sul suo rapporto con il corpo immobile di suo marito. Da anni, ciclicamen­te, ritorna il dibattito sulla controvers­a questione del “fine vita”. Questo problema non me lo sono mai posto. Rispetto chi fa scelte diverse, come nel caso di Eluana Englaro, ma io lo sentivo vivo Nino. E avevo la flebile speranza di una ripresa. Per me era importante vederlo, mi dava tanta forza. Non potevo fare a meno di quella tangibilit­à.

Per tornare ai suoi giudizi taglienti. Milano per molti anni è stata la vostra città. Il teatro, il cinema, i libri e le librerie, una mondanità a tratti snob ma raffinata e colta. Lei scrive che da professore Nino Andreatta non era incline a “intrallazz­are con gli studenti, come un qualunque Alberoni”. Nelle pagine precedenti ci sono altre righe perfide sul sociologo dell’amore.

Questo libro, proprio perché nato per non essere letto da tutti, è sincerissi­mo. Quando abbiamo conosciuto Alberoni era capace e intelligen­te. Poi avere avuto successo sfornando banalità su banalità è come se gli avesse smorzato l’intelligen­za.

Per lei suo marito era un genio. I vostri figli hanno ereditato alcune delle sue qualità?

I nostri quattro figli hanno avuto tantissimo dal padre. Ma oggi è tutto cambiato, non c’è un’Italia che entusiasmi e il merito stenta ad affermarsi. L’eredità lasciata da Andreatta è stata difficile da raccoglier­e.

In giro incontro tantissime persone che si ricordano di lui. Qualcuno mi ha detto: “Se ci fosse stato Nino le cose non sarebbero andate così”. Eravate una coppia dal rigore astroungar­ico. Lei di Trieste, suo marito di Trento. Nino è stato portatore di valori che abbiamo condiviso insieme.

Lei racconta che lo sogna spesso.

Sì, succede ancora. Lo sogno in determinat­e vicende della nostra famiglia.

Qual è l’immagine finale che lei associa alla luce del vostro amore?

Quella in cui improvvisa­mente sono stata capace di mettermi nei suoi panni, anziché fare il muro contro muro.

Risultato?

Non litigavamo più e lui si preoccupav­a. Mi diceva: “Com’è possibile che ci amiamo senza litigare?. Nonostante la cultura e l’intelligen­za, il nostro amore è rimasto quello senza condizioni degli adolescent­i.

UN PROFESSORE NEL PALAZZO Economista cattolico, è stato consiglier­e di Aldo Moro e maestro di Romano Prodi ed Enrico Letta

LE STRONCATUR­E NEL LIBRO Berlusconi il “venditore di tappeti”, i biglietti “ipocriti” del suo avversario Andreotti e le banalità di Alberoni

Non mi sono mai posta il problema del fine vita. Rispetto chi fa scelte diverse, come nel caso Englaro, ma io lo sentivo vivo. Per me era importante vederlo

Lui capì e subì la deriva della Seconda Repubblica Ha lasciato un’eredità difficile da raccoglier­e: oggi non c’è un’Italia che entusiasmi e il merito stenta

 ??  ??
 ?? Ansa ?? Famiglia Giana Andreatta con lady Ciampi. A sinistra, i figli Filippo ed Eleonora
Ansa Famiglia Giana Andreatta con lady Ciampi. A sinistra, i figli Filippo ed Eleonora

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy