Facciamo un tuffo?
Solo le onde della baia di Uluwatu, amate dai surfisti, sono sempre le stesse. Tutto il resto è cambiato: le spiagge degli habitué, gli hotel e i locali di tendenza. Ecco la nuova mappa dell’isola cara agli dei. E le dritte per non perdersi
La nuova mappa dell’isola cara agli dei. E le dritte per non perdersi
La spiaggia dove tutto è iniziato non è più l’appuntamento dei baby boomer, che ritornano nostalgici sull’isola mito dei favolosi anni Settanta. E neppure dei creativi, manager, sognatori di tutto il mondo, che staccano la spina per una settimana o un anno sabbatico. La vera Bali, ormai, è altrove. Lontana dalla sfilata di alberghi e mercanti della leggendaria Kuta beach, dove un tempo c’erano poche capanne e un solo ristorante, il Made’s Warung (che ancora resiste), e dove i figli dei fiori in fuga dall’Occidente sfidavano “le sinistre più tubanti”, le onde che arrivano da sinistra, alte anche otto metri.
Il paradiso però non è perduto. Si è trasferito a Canggu, la location oggi più cool, e soprattutto a Ubud, cuore culturale dell’isola, buen retiro di nomadi internazionali, incastonata tra le risaie verde smeraldo, a gradinate come un anfiteatro greco, patrimonio dell’Unesco, e la vegetazione che si insinua nella gola del fiume Ayung, su cui si affacciano centri yoga e wellness resort. “È il mattino del mondo”, disse l’allora premier dell’India, Pandit Nerhu, con gli occhi pieni di stupore, quando arrivò qui negli anni Sessanta.
IBISCO ROSSO E FRANGIPANI BIANCHI
Nell’isola dove Mick Jagger si sposò con Jerry Hall, con tanto di rito induista, ogni gesto o consuetudine della vita quotidiana è intriso di spiritualità. Per le strade sterrate si incontrano processioni di donne vestite in pizzo bianco, che portano sulla testa offerte di frutta e qua e là la sagoma di un tempio popolato di sculture (sull’isola ce ne sono 20 mila) e monaci abbigliati come idoli che salgono agli altari tra colonie di scimmie curiose. Gli dei parlano ai fedeli ovunque. Nel Pura Besakih, il celebre Mother Temple, piramide di terrazze in pietra lungo le quali si allungano decine di edifici religiosi, ma anche nelle fabbriche e negli alberghi, dove non manca mai un piccolo altare profumato di fiori e di incenso: un ibisco rosso per Brahma, il dio del fuoco e della creazione, frangipani bianchi e petali gialli per Mahadewa, dio del cielo, stoffa nera per Vishnu, dio della vita e dell’acqua. Il bene più prezioso scorre nei canali, zampilla lungo i pendii, sgorga dalle sorgenti sacre dove la gente si immerge per purificare la propria anima. Un mondo bucolico che sfiora le case in legno, terra e bambù con i tetti in foglie di palma di Ubud.
Lungo la Jalan Raja, la strada principale, e nel labirinto di viuzze del villaggio rivelato al mondo nel film Mangia, prega, ama, con Julia Roberts e Xavier Bardem (2010), si affacciano librerie come Ganesha bookshop, che non stonerebbero a New York, boutique di designer e antiquari, che propongono statue che è vietato esportare, anche se, in realtà, il meglio di Bali è in bella mostra nei negozi blasonati delle capitali europee e americane. Mentre da Threads of life si trovano tessuti di tutta l’Indonesia, prodotti con i metodi tradizionali e rigorosamente tinti con colori naturali. I segreti della lavorazione si scoprono nell’itinerario organizzato di una giornata in cui si va alla ricerca degli artigiani
migliori dell’isola che offrono gioielli d’oro e d’argento di Celuk, sculture in teak di Mas, tele di pittori di Batubulan.
I gourmet non si perdono una serata al Locavore, l’indirizzo più esclusivo, che mette in tavola piatti contemporanei scenografici cucinati con prodotti dei contadini locali e verdure del proprio orto; o al Lotus café, dove si scoprono i mille modi di preparare il nasi (il riso) e le sate (gli spiedini), di fronte a uno stagno ricoperto di ninfee giganti, ai piedi di un tempio illuminato dalla luna.
Sembra un villaggio tradizionale, l’hotel Amandari: i portali dei bungalow sono costruiti con paras, una pietra di origine vulcanica che, secondo la tradizione, protegge dagli spiriti maligni. Oltre le pareti di vetro delle ville la vista spazia sulle risaie e sulle infinity pool private, la cui superficie riflette il verde abbagliante della foresta. Less is more nella raffinata guesthouse Puri Saraswati, che offre il privilegio di soggiornare tra le mura del tempio dedicato a Saraswati, la dea hindu della cultura, tra laghetti dove galleggiano fiori di loto. Al mattino, davanti alla veranda new asian style dove si fa colazione, studentesse della scuola vicina e venditrici del mercato offrono alla dea e agli spiriti un vassoio pieno di incensi profumati e scatoline di foglie di banano colme di riso, fiori e frutta. Per un’immersione totale nella natura selvaggia, a qualche chilometro si possono scegliere le tende in stile safari o i lumbung (tradizionali magazzini del riso con il tetto in paglia) trasformati in romantiche camere nel Sandat Glamping Tents.
Prima di abbandonare Ubud, vale la pena di varcare la soglia della surreale dimora trasformata in museo di Antonio Blanco, il Dalì di Bali, pittore dal volto istrionico, amico di Picasso, che ha trascorso la sua vita qui, dipingendo ritratti di donne dell’isola e raccogliendo l’eredità della variegata comunità di artisti cresciuta attorno al russo Walter Spies, pittore e musicista arrivato qui negli anni Venti.
In un paesaggio che ricorda un dipinto orientalista, in poche ore si passa dalle risaie alle spiagge di sabbia di Canggu, allo spettacolare Agung, vulcano attivo di 3 mila metri. O a Jaddi Lui, a mille metri di altezza, dove risplende il tempio di Pura Batukaru, un gioiello assediato dalle foglie larghe dei banani, dai ciuffi rigogliosi delle palme, dalle
canne di bambù che il vento scuote e trasforma in canne d’organo, dalle voci cantilenanti dei monaci che si confondono con i canti degli uccelli.
A Jembrana, un borgo sperduto sulla costa occidentale, ogni anno, da maggio a novembre, migliaia di persone si radunano per le corse del Makepung, quando mandrie di bufali d’acqua si sfidano lungo piste improvvisate tra i campi di riso. A qualche chilometro, nel villaggio di pescatori di Seseh, si ammira “il piccolo Tanah Lot”, un tempio sul mare più fascinoso di quello grande e famoso, che ha lo stesso nome ed è assediato da bancarelle e venditori ambulanti. Nella distesa verde spuntano qua e là altri villaggi, tutti organizzati con regole immutabili. Scrive l’antropologo inglese Nigel Barley: “I balinesi sono uno dei popoli meglio organizzati del pianeta. Ogni uomo adulto è membro di varie associazioni: per la distribuzione dell’acqua, la musica, i riti religiosi, e anche per giocare con gli aquiloni”. Un omaggio al Tri Hita Karana, codice antico di millenni, che invita a intrattenere rapporti armoniosi tra gli uomini, non solo con gli dei.
PAYANGAN, DOVE VIVONO GLI ANGELI
Si intrecciano tante storie sotto il cielo dove galoppano nuvole bianche. Come quella di Sarah Falchi e Paolo Castellari, due pubblicitari milanesi che qualche anno fa si sono trasferiti a Bali con i figli. O di Sebastian Mesdag e Ayu Purpa, lui designer di tessuti, globetrotter europeo, lei balinese figlia di un’importante famiglia di gioiellieri, che si sono stabiliti a Payangan, “dove vivono gli angeli “racconta la gente del posto. Qui nella giungla hanno costruito una suggestiva tree house contemporanea con immense verande, giochi di luce e ombre, angoli di meditazione, utilizzando solo teak e ironwood del Borneo recuperato da vecchi ponti e fattorie. Dopo aver abbandonato New York, dove si è formata, anche la stilista di moda Elora Hardy ha scelto di vivere sull’isola e con la sua società Ibuku costruisce case di struggente bellezza, interamente in bambù. “È il materiale del futuro: ha la resistenza del calcestruzzo, il rapporto forza-peso dell’acciaio ed è una delle piante che cresce più velocemente nel mondo”, spiega Hardy.
Non hanno tradito Bali i surfisti, che hanno trovato la loro Kuta a Uluwatu, millenario luogo mistico dove si scopre uno dei templi più importanti, il Pura Luhur Uluwatu, arroccato in cima a una scogliera sulla quale da secoli i pescatori locali venerano la dea del mare, Dewi Laut. Qui gli sportivi cavalcano le onde lunghe e perfette che si infrangono incessanti sul reef con tutta la potenza dell’oceano Indiano, ammirati dai frequentatori dell’effervescente chiringuito Single Fin, affollatissimo al tramonto, quando il cielo si colora delle sfumature di terra di Siena, zolfo, porpora. Uno spettacolo da godersi anche allungati sui lettini dell’onirico beach club The Lawn. Tra le infinite distese di sabbia nera di Echo Beach, il rifugio perfetto è il fascinoso resort Como Uma Canggu, con
Nel tempio di Pura Luhur, arroccato su una scogliera di Uluwatu, i pescatori venerano la dea del mare
piscina scenografica che si apre sull’oceano. Imperdibile il beach club firmato dalla designer italiana Paola Navone e ispirato ai capanni dei surfisti: colorati cuscini dalle sfumature azzurre e rosa sparsi qua e là, musica chill out dal vivo e un menu che accontenta tutti i gusti e comprende dalla salutista Shambala cuisine alle linguine all’aragosta. Il posto ideale per festeggiare il giorno che se ne va sorseggiando un Cojto, a base di rum, cocco, lime e menta o un Jamu kunyit asam, la bevanda locale al tamarindo.
I cavalieri delle onde possono contare sull’esperienza e sulle attrezzature di Tropicsurf, all’interno dell’hotel, che ha basi nei migliori spot del mondo, dalle Maldive alle Fiji. Mentre il ritrovo dei nomadi digitali che hanno scelto di trasferirsi qui per qualche mese, per un reset della loro vita senza smettere di lavorare, è Dojo Bali, un delizioso spazio di coworking con caffè, patio, piccola piscina, decine di postazioni per il pc e cabine per comunicare via Skype con il resto del mondo. Lungo la mezzaluna di sabbia chiara di Jimbaran attraversata dal suono cristallino dei gamelan, le orchestrine tradizionali, si mangia alla luce tremolante delle candele per pochi dollari con i piedi nella sabbia in uno dei tanti warung, i tradizionali ristorantini riforniti dalle barche a bilanciere che scaricano all’alba ceste colme di aragoste, gamberoni e mahi-mahi (il pesce corifena cavallina) al mercato. Una sfilata di bancarelle colorate dove si assaggia la frutta tropicale che cresce spontanea nella giungla, come il dragon fruit fucsia o il mangusteen, dagli spicchi di color bianco latteo fragranti. Utilizzati, anche, per insaporire i piatti creativi serviti in sofisticati indirizzi gourmand come il Sundara Beach Club del Four Seasons Jimbaran.
Ci si può spingere nella penisola di Bukit, tra bananeti, frangi
Lungo le strade sfilano
risaie verde smeraldo punteggiate dai cappelli a cono dei contadini
pani, palmeti. Alla fine della strada appare Pandawa, la grandiosa baia di sabbia bianca racchiusa tra le scogliere ricoperte di vegetazione e la splendente laguna turchese da esplorare con maschera e pinne inseguendo pesci variopinti. Perfetta per giornate slow, in omaggio al Suka Duka ,la filosofia isolana che invita a cogliere l’attimo, perché la vita è in bilico tra luce e buio, alti e bassi, bene e male. E, allora, vale la pena godersi il Tugu Hotel, quasi un museo, dall’architettura ispirata a un villaggio tradizionale, aperto da un antiquario di Giacarta che vi ha collocato la sua collezione di rarità raccolte in tutta l’Asia. Ampie camere sospese su laghetti, arredate con letti a baldacchino, scrivanie intarsiate e vasche di rame con vista sull’oceano. Memorabile, per chi vuole concedersi il lusso, la cena nella sala Bale Puputan, tra inestimabili antichità balinesi, con 12 pietanze servite da altrettanti camerieri in ricordo dei fasti coloniali olandesi.
La Bali segreta è ad Amed, borgo marinato sperduto sulla costa orientale affacciata su Lombok, con le barche sulla spiaggia, i bambini dei pescatori che rincorrono gli aquiloni, i warung che servono il piatto tradizionale, l’imperdibile Babi guling, maialino da latte arrosto insaporito con spezie. Nessun resort blasonato, qui. Solo guesthouse minimal dove si dimentica l’orologio e la giornata è scandita, dall’alba e dal tramonto, dalle immersioni nel mare blu cobalto tra relitti di navi e distese di gorgonie colorate, assistiti dai diving center. Eccola la nuova Kuta. Da conquistare percorrendo la strada più bella dell’isola, che costeggia la scacchiera delle risaie punteggiate di contadini con il tipico cappello a cono, i canali dove la gente fa il bagno al tramonto, gli argini con i pastori di anatre che si stagliano come figurine del teatro delle ombre.