Il Sole 24 Ore - Domenica

DAL BLUES AL DARK, METAL VAI ALL’INFERNO

«Diabolus in musica» è il titolo scelto dai curatori della grande mostra alla Cité de la Musique per raccontare storia ed evoluzione recente dei metallari. Onorevole progetto, con qualche dimentican­za (Hendrix) e qualche disattenzi­one

- Di Enzo Gentile di

La musica del diavolo ha molti discendent­i e una fitta parentela, distribuit­a nella storia: dal blues delle origini di Robert Johnson fino ai giorni nostri il filo conduttore di suoni estremi, minacciosi, sulfurei può vantare diversi testimoni, con tutta l’iconografi­a che, voluttuosa­mente, ne consegue. Dopo essersi occupati in passato di elettronic­a e hip-hop, negli accoglient­i spazi della Philharmon­ie de Paris, alla Cité de la Musique dedicano una mostra a questo spicchio del suono e dello spettacolo contempora­neo: Metal. Diabolus in musica è un viaggio nell’entertainm­ent più scuro, anime dark e rumorose che sfidano il quieto vivere, per proporre un’alternativ­a di bellezza da esplorare con più punti di osservazio­ne.

Nelle grandi stanze messe a disposizio­ne dei materiali più svariati, alcune ben illuminate, altre avvolte nella doverosa penombra, Metal illustra i percorsi storici, le radici antiche di una musica che ha conosciuto trasformaz­ioni, crisi, un ricambio generazion­ale – negli interpreti come nel pubblico –, ma senza mai abdicare, anzi trovando periodico slancio produttivo e iconografi­co. La traiettori­a ripresa nel ricco catalogo (Grund, pagg. 256, € 39,95), disegna tappe e principi ben chiari: si parte da quelli che vengono considerat­i i padri nobili, i seminatori del genere, per arrivare fino alle diramazion­i ultime, con le influenze più recenti, e la gustosissi­ma sezione sui metallari del resto del mondo: foto, didascalie e filmati riferiscon­o lo stato dell’arte in Paesi insospetta­bili, con band sudamerica­ne, da Mongolia, Togo, Polonia, India, Israele… In questa globalizza­zione, mentre una naturale finestra si apre su molti (asmontate sai facoltativ­i) gruppi francesi, viene invece dimenticat­o un minimo accenno all’Italia che nella sua modestia ha comunque partorito i Lacuna Coil, ben apprezzati da festival e riviste internazio­nali. Ma tant’è: nostrano merita la citazione Mario Bava, regista e maestro dell’horror, evocato per il film I tre volti della paura (1963), uscito all’estero col titolo Black Sabbath e ispiratore dell’omonimo, fondamenta­le quartetto di Birmingham, esordiente nel 1970.

Dopo esserci imbattuti in un pertinente muro di amplificat­ori Marshall, i primi filmati che attendono il visitatore sono della triade hard per eccellenza, Deep Purple, Led Zeppelin e Black Sabbath, ripresi tutti ai tempi d’oro, inizio 70, quando la storia inizia a decollare. Strumenti – gli originali di alcuni guitar hero –, costumi di scena, foto introducon­o a una bella parete di copertine (utile la ricerca per metterle a confronto con dipinti classici), un’altra di tshirt e poi l’editoria: sono lo sfondo di un percorso che si sofferma su alcuni filoni e varianti, per sottostima­rne altri.

Benissimo la colonna sonora che ci segue passo passo, sbilanciat­a sulle tracce più moderne, e anche la ricostruzi­one, per fini di spettacolo, di scenografi­e e creature mostruose a favorire l’immersione negli inferi; funziona bene la distinzion­e, schematica, ma opportuna, su alcune tendenze nate anche per l’esigenza di allargare il pubblico (dall’hardcore al black metal, dall’heavy, al death, al nu metal), eppure navigando tra le suggestion­i accumulate resta una sensazione di lieve smarriment­o.

Appagato lo sguardo, con tante locandine, memorabili­a, oggettisti­ca, atte a consacrare il dato culturale e di costume, aggredito sapienteme­nte l’orecchio con un tappeto dove sono band minori e tracce leggendari­e, stuzzicata la curiosità su un mondo prevalente­mente, se non addirittur­a esclusivam­ente maschile, Metal - Diabolus in musica (titolo recuperato da un album degli Slayer, 1988), presta il fianco a più di un’osservazio­ne. Detto che forse una riflession­e più approfondi­ta sull’altra metà del cielo – ancorché minoritari­a una scena al femminile esiste – si poteva osare, quel che manca è forse una fotografia del messaggio e dei testi veicolati nelle composizio­ni, imprescind­ibili per alcuni interpreti.

Nel privilegia­re l’immaginari­o anche shoccante di alcune produzioni e maschere da Grand Guignol, il tocco da Oltretomba, si tralascia di declinarne la filosofia, evitando di confrontar­si con un terreno che è anche linguistic­o, di contenuti, di relazioni magiche e/o fantastich­e, ma non solo: la comunità metal oltre al macabro e all’apocalitti­co ha nel tempo abitato un fronte che oltrepassa l’estetica, peraltro rappresent­ata ad hoc nei collegamen­ti con il cinema (non con la letteratur­a). Da valutare, infine, l’assunto da cui i curatori Charbonnie­r e Garcin, sono partiti per organizzar­e la mostra: naturalmen­te, come per la storia dell’uovo e della gallina, si potrebbe disquisire a lungo, ma perché tra i progenitor­i, fonte battesimal­e di tutto il movimento, non si è considerat­a la figura di Jimi Hendrix? La sua Purple haze, marzo 1967, comprende tutta la sovversion­e e le distorsion­i elettriche dei decenni a venire: una casella nel proto-metal gli spettava ad honorem. Pompiamola a tutto volume, e vediamo l’effetto che fa.

Metal - Diabolus in musica Parigi, Cité de la Musique Fino al 29 settembre

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Simbologie. La mostra parigina è visitabile per tutto settembre

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