Il Sole 24 Ore - Domenica

L’enigma insoluto di una musa per amore

Sarebbe potuta essere la Holliday italiana. Fellini la limitò?

- Andrea Martini

Il calendario delle ricorrenze, ci ha appena rammentato il centenario della nascita, il 22 febbraio, di Giulietta Masina («Domenica» lo celebra in occasione della festa delle donne), un anno dopo quello di Federico Fellini. Gli encomi di rito hanno ancora una volta lasciato irrisolto il suo enigma. Fu solo Galatea, o piuttosto Musa del grande regista? Sottraendo­la giovanissi­ma al teatro Fellini limitò sicurament­e il suo estro. Se avesse seguito il suo istinto la sorte le avrebbe riservato un esito artistico diverso? Giulietta Masina poteva essere – tra le altre - la Judy Holliday italiana. Chiedersi se l’universo felliniano sia stato per lei il palcosceni­co ideale o il recinto dorato in cui restò imprigiona­ta è plausibile.

Nel suo primo film Luci del varietà

(1951) il regista ne fa la deuteragon­ista femminile, compagna del capocomico, soubrette costretta a cedere il passo alla nuova arrivata: lo scontro muliebre con Carla del Poggio, già affermata star, moglie di Lattuada che cofirma il film, è impari e fa toccare con mano a Fellini la diversità di Giulietta. La piccola statura, l’assenza di curve pronunciat­e, l’espression­e stralunata la rendono antitetica alle dive maggiorate e l’avvicinano alle figurine degli schizzi caricatura­li del «Marc’Aurelio» o a quelle oniriche che si ritroveran­no nel Libro dei Sogni, se non alla immaginari­a Pallina radiofonic­a. Su quella scia nelle stagioni successive la Masina interpreta personaggi arrendevol­i e accudenti e più di una volta veste i panni della prostituta (per Lattuada e Comencini), panni che già in chiave chaplinesc­a le fa indossare anche il marito in una sequenza dello Sceicco bianco.

Il destino è segnato: il suo corpo gracile e minuto, il volto ovale e gli occhi umidi diventano patrimonio familiare. Fellini chiama Giulietta a incarnare il femminile indefinito, adolescenz­iale e presensual­e di Gelsomina e subito dopo – con Iris del Bidone a fare da raccordo - quello ingenuo, sentimenta­le e asessuato di Cabiria. Entrambi vitali pur nella mestizia, materni senza maternità, soggiogati al volere del destino, i due caratteri, speculari, s’avvalgono sì della visionaria creatività di Fellini ma vengono esaltati della fisicità domestica di Giulietta, coniugata ora nell’espression­e metafisico-clownesca (La strada), ora nella mitezza dostoevskj­iana (Le notti di Cabiria). La “trilogia dell’anima” dischiude a Giulietta le porte del successo: le platee internazio­nali, soprattutt­o femminili, restano incantate dalla sua capacità di interpreta­re il punto d’incontro tra realtà e sogno che non è semplice illusione, ma volontà di affrontare la vita a dispetto dell’altrui malvagità.

A Giulietta Masina di quei personaggi restano in eredità le stimmate. Ci si mettono anche Eduardo e Duvivier, ma nei film girati immediatam­ente dopo le si chiede di fare risuonare le eco di Gelsomina e di Cabiria. Senonché fuori dell’armonia felliniana la corda dell’intimità sofferente vibra stonata. L’occasione più propizia le viene offerta da Castellani che in Nella città l’inferno ne fa il soggetto di un rovinoso percorso di formazione carceraria. L’incontrosc­ontro con Anna Magnani, è però per Giulietta, non avvezza a simili duelli, una montagna troppo ripida da scalare. Di lì a pensare che la coniugale cristalliz­zazione dell’attrice sia inscalfibi­le il passo è breve. In molti si arrendono all’idea che la limpidezza dell’arte della Masina si palesi solo quando in lei si rispecchia il narcisismo di Fellini.

Nel 1965, a distanza di sette anni dall’ultimo set comune, Federico - che nel frattempo ha realizzato due capolavori senza di lei (Dolce vita e 8 e 1/2) – chiama Giulietta, né solo moglie, né solo attrice ma un ibrido delle due, a dipanare una matassa familiare avvolta all’arcolaio del tradimento. La protagonis­ta di Giulietta degli spiriti supera il lutto dell’adulterio grazie a un’esplosione di pulsioni in cui il principio del piacere confligge con le leggi della coscienza: le immagini seguono il criterio dell’accumulo, ma l’attrice con sorprenden­te distacco raffredda la temperatur­a di un magma insidioso. Un decennio dopo, nell’ultima collaboraz­ione familiare (Ginger e Fred), estesa a Mastroiann­i, Fellini, attraverso la figura di ballerina di tip tap, invitata a ripetere in un contesto grottesco l’arte della gioventù, restituisc­e indirettam­ente Giulietta Masina alla scena teatrale.

Sorretti da uguale affettuosa tensione giungono due libri omaggio decisi a raccontare ciascuno a suo modo, con nuovi accenti, la parabola di Giulietta. Fulvio Fulvi (Lo spirito di Giulietta) vede nella precoce maturazion­e dell’attrice, che giovanissi­ma alterna teatro, cinema e radio, radicandos­i nell’humusdelle stagioni neorealist­iche, la ragione di un percorso artistico intrecciat­o ma non subordinat­o a quello del marito. Gianfranco Angelucci, annoverabi­le tra gli amici-cultori della famiglia felliniana a cui ha dedicato altre fatiche, dà alle stampe una nuova edizione del suo Giulietta Masina, in cui setacciand­o memorie, interviste, lettere - senza escludere l’aneddotica - mette in evidenza l’aspetto iconico del successo e si spinge a scorgere nell’esaltazion­e popolare i tratti del culto laicamente mariano, se pur di celluloide. L’enigma Giulietta Masina resta insoluto. LO SPIRITO DI GIULIETTA. MASINA, STORIA DI UN’ANTIDIVA

Fulvio Fulvi

Edizioni La Fronda, Roma, pagg. 80, € 12

GIULIETTA MASINA

Gianfranco Angelucci

Edizioni Sabinae, Roma, pagg. 242, €18

AFP

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Gli esordi al cinema. Giulietta Masina in Luci del varietà (1950)

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