COSÌ TORINO HA ILLUMINATO LE SUE NOTTI
Dalle «candele» della Madama Reale agli esperimenti con l’illuminazione a gas, fino all’arrivo dell’elettricità: ecco come strade e piazze hanno trovato la luce
● La prima illuminazione pubblica a Torino si deve alla Madama reale Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, che nel 1675 ordinò al Consiglio Generale di trovare un modo per illuminare le vie della città
● Dalle candele sulle pertiche si passò poi all'olio d'oliva
● Quindi si iniziò a sperimentare il gas: i primi tentativi furono un fallimento, ma il 1° ottobre del 1846 per la prima volta diverse strade e piazze della città furono illuminate grazie al gasometro
● Poco tempo dopo, però, arrivò la corrente elettrica: nel 1884 migliaia di lampadine illuminano le strade della città
Il poter passeggiare di notte come di giorno in città, grazie alle strade cittadine illuminate, a noi sembra scontato. Eppure, l’illuminazione pubblica è un’innovazione relativamente recente che ha rivoluzionato la vita urbana e ha cambiato radicalmente la socialità e il modo di vivere la città. Una pubblicazione della Fondazione Neri Museo Italiano della Ghisa (unico museo di illuminazione pubblica e arredo urbano esistente al mondo) ricostruisce la storia dell’illuminazione pubblica a Torino. Da sempre le tenebre e il buio sono associate al pericolo e ancora oggi, per avere più sicurezza, vengono evocate strade più illuminate. Non sappiamo se esista realmente una correlazione tra le due cose però di fatto, come hanno ricostruito Mario Broglino e Antonio Neri, già nel Seicento i Savoia collegavano la sicurezza notturna dei cittadini all’illuminazione delle strade. Il duca Carlo Emanuele I ordina «di mettere lumi alle finestre, ovvero alle porte che rispondono alle strade pubbliche, sotto pena arbitraria. Niuno tanto forestiere, quanto cittadino potrà andar di notte per la città senza lume dopo sonata la ritirata, ne potranno andar sotto una torchia più di quattro persone, ne sotto una lanterna più di due». La prima illuminazione pubblica a Torino si deve a una donna straordinaria, la Madama reale Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, che durante la sua reggenza trasforma il capoluogo piemontese portandolo al livello delle altre maggiori corti europee. Tra i vari cambiamenti di cui la nobildonna si fece promotrice ci fu anche quello dell’illuminazione pubblica. Il 31 dicembre del 1675 ordina al Consiglio Generale di trovare un modo per illuminare le vie della città. La prima soluzione che viene ideata sono delle lunghe pertiche che sorreggono gabbie ricoperte di tela cerata. La luce fioca era assicurata dalla combustione di candele realizzate con grasso di origine animale. In seguito, le pertiche vengono sostituite con dei sostegni di ferro che reggevano le prime lanterne a vetri. L’elevato costo dell’illuminazione pubblica rappresenta però un problema, si decide così di sostituire le candele con il più economico olio d’oliva, soluzione già adottata a Londra e a Parigi. La luce ad olio era più potente della precedente e donava un’aura romantica alle strade cittadine. Ne rimane affascinato anche il marchese Malaspina che, di passaggio per Torino nel 1785, in merito all’illuminazione a olio scrive: «È la più splendida, la più bella che si possa mai vedere. È continua in tutto l’anno anche a luna piena».
Dobbiamo però aspettare ancora qualche decennio per assistere a quella che si presenta come la vera rivoluzione: l’illuminazione a gas. Nel 1837, su iniziativa di due imprenditori francesi, l’ingegner Gautier e l’architetto Raymondon, nasce la Compagnia
Alcune immagini d'epoca che mostrano diversi esempi di illuminazione pubblica a Torino; qui accanto, il candelabro disegnato da Cesare Reduzzi; in alto, piazza Vittorio con i suoi lampioni; in basso, una cartolina d'epoca
di illuminazione a gas per la Città di Torino. Una cronaca del 1838 così descriveva quel primo stabilimento: «Una torre rossastra, dalla cui cima suprema sgorgano a quando a quando vortici di negro fumo, sorge di mezzo alle masse di verdi alberi che ombreggiano il pubblico passaggio, breve tratto fuori Porta Nuova. Essa è il camino dello stabilimento del gaz illuminante». La nascita del nuovo gasometro provoca una profonda lacerazione nell’opinione pubblica. La popolazione si divide in due correnti di pensiero che Silvio Pellico chiama i «gasisti» e gli «antigasisti». I primi esaltano la bellezza e la potenza dell’illuminazione a gas, i secondi sono invece preoccupati per i costi e per il pericolo degli scoppi. Superati i timori, partono i primi esperimenti di illuminazione pubblica. Nell’estate del 1839 una gran folla si reca nell’attuale via Roma per vedere il gas illuminante uscire dai tubi, ma l’attesa di oltre cinque ore è vana. «La novità di questi giorni in Torino», scrive Silvio Pellico, «si è che lunedì sera si doveva illuminare contrada Nuova col gas. Un mondo di gente empì le vie e le piazze; dal tramonto alle ore 11 aspettarono invano; l’aria ingombrava i tubi, il gas non passò». Dopo una serie di tentativi fallimentari il 1° ottobre del 1846 la città si appresta ad assistere all’inizio di una nuova epoca. Nelle vie Doragrossa (oggi Garibaldi), Po, Nuova, Santa Teresa e nelle piazze Castello, Vittorio Emanuele I e San Carlo si inaugura il primo impianto di illuminazione pubblica a gas. L’evento è talmente atteso che i teatri della città sono deserti, le persone sono tutte in strada ad assistere al grande spettacolo della luce. Nata una rivoluzione è già tempo di un’altra. L’illuminazione a gas trova presto un’agguerrita avversaria: quella elettrica. Nel 1884 a Torino in occasione dell’esposizione Italiana viene effettuato il primo esperimento di trasmissione elettrica a distanza da Torino a Lanzo. Il 27 aprile dello stesso anno migliaia di lampadine illuminano le strade della città. La luce elettrica svela la città notturna in tutta la sua bellezza. Scrive un cronista: «Torino parve, per opera di qualche fata, trasformata in una città di luce e di colori vividi che rapivano in estasi l’attonito spettatore».
La prima illuminazione pubblica si deve a Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours