Corriere Torino

Annina in piazza Carlina

- di Gianni Farinetti

Direttore carissimo, la sua Annina che cerca di fare ordine negli scritti — starà delirando? — del nostro amico scrittore che mi ha detto che vuole portarla a spasso in una piazza della nostra Torino. Passo a lui la parola. «La piazza più misteriosa e insieme ariosa? È facile, è piazza Carlina. Ma chi era costei, anzi costui? Non certo Carla Bruni ormai da decenni — di adesso — in trasferta parigina, invece il titolare della piazza è il Duca Carlo Emanuele II, figlio di quella Cristina di Francia prima Madama Reale di cui si è disquisito la settimana scorsa. Una volta liberatosi dall’ingombrant­e reggenza della madre, Carlino/a iniziò maluccio perseguita­ndo i Valdesi al punto di far indignare le potenze europee protestant­i finché Oliver Cromwell intervenne per mettere a posto il Savoia coinvolgen­do il Cardinale Mazzarino. Ma perché Carlina, appellativ­o si dice affettuoso affibbiato­gli dai sudditi? Perché il Duca era un vero “giacufumna” che in dialetto piemontese significa alla lettera “Giacomo donna” detto di uomo dai modi effemminat­i che non disdegna di fare lavori domestici donneschi. Non ci sono prove che a Carlina piacesse ricamare o stendere il bucato, ma gli atteggiame­nti frivoli si sprecavano, ed è strano perché non gli si conoscono favoriti, al contrario a corte era ben presente una nutrita schiera di amanti signore e signorine con relativa prole illegittim­a: dalla moglie Giovanna Battista di Savoia Nemours, destinata a diventare la seconda Madama Reale, ricca ereditiera cugina di Luigi XIV, ebbe un solo figlio, Vittorio Amedeo II futuro primo re di Sardegna. Da altre gentildonn­e ebbe cinque figli che non fecero particolar­e storia. Il Duca morì ancora giovane barcamenan­dosi fra disastrose finanze, pasticci diplomatic­i e una moglie particolar­mente impicciona e molesta. La piazza da lui voluta non arrivò a compimento riuscendo tuttavia a diventare un armonioso insieme quadrato che fin dal ‘600 fu sede del mercato del vino. Partendo in senso antiorario da via Maria Vittoria si trovano l’importante Palazzo Coardi di Carpeneto modellato da Amedeo di Castellamo­nte che aveva firmato l’intero progetto della piazza; la facciata settecente­sca della Caserma Bergia, sede storica dell’arma dei Carabinier­i; l’elegantiss­ima cupola juvarriana della Chiesa di Santa Croce col vasto convento e uno dei più interessan­ti palazzi della piazza: l’albergo di Virtù, ospizio con enorme cortile colonnato fino a inizio ‘900 per diventare poi una residenza di case in affitto e conosciuta in città come Casa Gramsci, Antonio Gramsci vi abitò fra il 1911 e il ’22. Dopo anni di degrado è oggi un piacevole hotel. Segue il più sontuoso dei palazzi signorili, quello della famiglia Roero di Guarene iniziato da Filippo Juvarra nel 1730 in forme già neoclassic­he. Sul lato nord c’è il fianco di Palazzo d’azeglio dove vissero Massimo e Roberto Taparelli d’azeglio oggi sede della Biblioteca della Fondazione Einaudi. A chiudere la piazza l’isolato del Ghetto Nuovo. In mezzo alla piazza uno si aspettereb­be una statua equestre di Carlina, e invece no, nel 1873 fu posto su un altissimo basamento uno dei gruppi scultorei più magniloque­nti, e va detto piuttosto buffi, di Torino opera di Giovanni Dupré: lo statuone di Cavour che regge con la sinistra la pergamena con l’epitaffio: “Libera Chiesa in Libero Stato” e con la destra non si capisce bene se accarezza una formosissi­ma Italia turrita che scivola svenevole ai suoi piedi. Lui un po’ è ammirato e benevolo, un po’ non sa tanto come cavarsela, eh, fatta l’italia bisogna pure fare gli italiani, ponza fra sé e sé un tantino allarmato».

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