Al Mao la bellezza rende le frontiere «liquide»
Lustro e lusso dalla Spagna islamica. Frontiere liquide e mondi in connessione è la mostra, a cura di Filiz Çakır Phillip, che il Mao Museo d’arte Orientale, ospita da oggi fino al 28 maggio nella sezione di Arte islamica, al quarto piano. «Una mostra succinta e precisa, con una trentina di oggetti molto documentati e supportata dall’ormai consueto libriccino fornito ai visitatori, utilizzabile prima, durante e dopo la visita. Crediamo non in mostre di grandi numeri ma capaci di fornire strumenti di comprensione per il pubblico, con precisione di contenuti», spiega il direttore Davide Quadrio. È anche la prima di una serie di collaborazioni con la Fondazione Bruschettini per l’arte Islamica e Asiatica di Genova, «costituita nel 2012 da Alessandro Bruschettini dopo una vita dedicata al collezionismo ma soprattutto a lunghi e approfonditi studi, confluiti in una biblioteca di oltre 30 mila volumi», spiega Elisabetta Raffo, la direttrice della fondazione da cui proviene la gran parte delle opere in mostra, soprattutto tessili, tra cui preziosi tappeti e tessuti (sia integri sia frammenti). Che spiega ancora: «Il sottotitolo Frontiere liquide allude al fatto che ormai viviamo in un mondo globale in cui sempre meno si dovrebbe parlare di frontiere, soprattutto in ambito culturale. L’arte va guardata attraverso occhi aperti, senza preclusioni». «Il Mediterraneo in particolare è da sempre un luogo straordinario di dialogo e integrazione di linguaggi e artistici e culturali comuni», spiega invece Filiz Cakir Phillip, già curatrice dell’aga Khan Museum di Toronto. «Ci siamo concentrati sul patrimonio artistico prodotto in Spagna tra X e XVI secolo e su come, nel tempo, si siano incontrati gusti differenti, inducendo mode diffuse e condivise, al di là di ogni possibile frontiera politica». Un frammento in seta rossa del XII secolo proviene dall’almeria andalusa, dove è stato prodotto inglobando simboli di culture lontane tra cui figure di animali secondo i modelli sassanidi, diffusi in Medio Oriente in età preislamica ma confluiti nella pratica artistica dell’islam. Sul tessuto compare la scritta «Baghdadi», cioè «prodotto a Baghdad», allora garanzia di alta qualità. Sono prodotti talmente apprezzati anche nel mondo cattolico dell’epoca da essere utilizzati come preziosi involucri per le reliquie. Accade in Spagna ma anche, ad esempio, a Venezia, Perugia e Fermo, in cui contenitori di fattura islamica sono stati reimpiegati in contesti cristiani per la loro capacità di esprimere un lusso elevatissimo. Una qualità e una bellezza che supera, appunto, ogni frontiera.