«Dopo il film con Tinto Brass, ho dovuto dimostrare cosa so fare»
La paura di essere «etichettata», il teatro, la voglia di tornare al cinema: Debora Caprioglio si racconta prima dello spettacolo al Gioiello
Ormai la gente, a teatro, commenta come se fosse seduta davanti alla televisione. Si è persa, un po’, la sacralità dei luoghi. Soprattutto se si è di fronte a una commedia, una di quelle serate in cui la risata ti fa respirare una boccata d’aria fresca rispetto ai venti di guerra di cui sono pieni i teleschermi. Ed è sicuramente il caso di La
ciliegina sulla torta, spettacolo scritto e diretto da Diego Ruiz, con in scena Edy Angelillo, Blas Boca Rey, Adelmo Fabo e Debora Caprioglio. Una pièce divertente in cui i colpi di scena non mancano (e neppure i commenti del pubblico) che sarà al Teatro Gioiello da giovedì a domenica. Ce la racconta Debora Caprioglio.
Che bello ritrovarla torinese.
«Amo Torino fin da bambina, quando venivo qui con mia mamma perché ci abitava sua sorella, mia zia. In più io sono in parte piemontese, lo sa? Caprioglio non è un cognome veneto, mio papà era di Casale Monferrato. Sono felice perché questa volta ci verrò con Francesco».
Francesco De Bortoli, il suo compagno.
«Ci siamo conosciuti a Belluno un soffio prima del lockdown, lui è un commercialista e si occupa dell’amministrazione della stagione teatrale. Non è mai venuto a Torino. Io l’adoro, la trovo incredibilmente fascinosa. Ne amo molto anche il lato esoterico».
In effetti potrebbe essere adatta a un ruolo in un film horror. Le piacerebbe?
«Perché no? Il mio primo film si chiamava La maschera
del demonio ed era diretto da Lamberto Bava».
Poi venne Kinski. Ma la si ricorda sempre per Paprika di Tinto Brass. Le è mai pesato?
«Inizialmente un po’, sì. Quando si è molto giovani, come me allora, non si sa mai dove si va a parare, soprattutto in una professione come questa che è caratterizzata dalla precarietà. Avevo paura di venire etichettata in un certo modo. Io ho un carattere molto volitivo e mi sono messa di buona lena per fare questo lavoro come volevo farlo. Aiutati che Dio ti aiuta, si dice. Non basta avere un inizio sfolgorante, bisogna poi dimostrare chi sei e cosa sai fare. Oggi, per mia fortuna, soprattutto in teatro, lavoro molto». Le manca il cinema?
«Mi piacerebbe tornare a fare qualche bella cosa al cinema, certo. Però vorrei poter avere un ruolo interessante come quelli che mi capitano a teatro, dove ci si trasforma, si interpretano tante sfumature».
Il cinema è ormai molto diverso dal grande cinema italiano di un tempo?
«E purtroppo non è praticamente più in sala, ma solo sulle piattaforme. Non è facile trovare parti interessanti. L’estate scorsa ho partecipato a una commedia corale dove mi sono molto divertita. Nel cast ci sono anche Paolo Conticini, Alessandro Haber, Barbara Bouchet. È molto carina, spero riesca a uscire presto».
Cosa c’è di diverso rispetto all’italia dei suoi inizi?
«Alla fine degli anni Ottanta, inizio Novanta, tutto sommato c’era una certa apertura da alcuni punti di vista. Oggi questo politically correct a tutti i costi ha fatto tornare certe pruderie laddove non dovevano essercene più».
Ci racconta la commedia? «Senza dirvi i colpi di scena, però: io sono una cinquantenne italo-americana vestita come una torta, che il figlio di una coppia un po’ particolare porta dai genitori come nuova fidanzata. Il papà è uno scrittore casalingo, la mamma un’avvocata in carriera. Si ride. E capitano tante cose. Che fanno anche riflettere sulle pruderie di cui sopra».
Cosa pensa di Amleta, l’associazione che unisce le attrici molestate?
«Penso che sia fondamentale l’unione tra le donne. Sono stata fortunata e non mi è mai capitato, ma è un tema importante. Per questo sto lavorando a un monologo su Artemisia Gentileschi, che ebbe veramente il coraggio di denunciare il suo stupro e pure fu ammessa all’accademia d’arte e disegno».
La commedia
Da giovedì a domenica sarà sul palcoscenico con «La ciliegina sulla torta» di Diego Ruiz
Io sono stata fortunata, ma penso che sul tema delle molestie l’unione tra le donne sia fondamentale: per questo lavoro a un monologo su Artemisia Gentileschi, che ebbe il coraggio di denunciare