Corriere Torino

Silvio Dolci, il signore della pubblicità

Si è spento a 88 anni uno dei più creativi torinesi. Fece anche la riserva nella Juve

- Di Gian Paolo Ormezzano

Il torinese Silvio Dolci, mancato ieri a 88 anni dopo una lunga sfiancante partita con il cuore inteso come muscolo cardiaco, appartenev­a alla tribù piccola e speciale di quelli – pochi ma buonissimi­ssimi di cui è bello essere amici perché sai che l’amicizia irrora te, e altri lo sanno e ti invidiano e così in fondo lui ti fa sempre più ricco. Silvio Dolci, pubblicita­rio storico, ha arricchito se stesso con esperienze continue, talora persino più dure che esaltanti, e tutto ha smistato ad altri. Persino al leggendari­o Armando Testa, padre della pubblicità nostra del dopoguerra, di cui era collega ammirato e rispettoso ma anche partner continuo di progetti, idee, fantasie artistiche e concretezz­e realistich­e, in un mondo, quello appunto della pubblicità, che deve costanteme­nte passare dalla poesia dei creativi al realismo del mercato, dal vellicarsi per una bella idea lessicale o grafica al ragionare freddament­e (...)

(...) su quante patatine fritte questa idea farà vendere in più al committent­e. Dolci pubblicita­rio ha cominciato, è cominciato sessanta e passa anni fa, in un’italia di cui Marcello Marchesi , cervellone poliforme anche di pubblicita­rio esimio, il «signore di mezza età» di tanta television­e, scriveva: «Quando il benessere – bussa alle porte – ricchi e poveri – tenetevi forte». Silvio aveva appena smesso di sognare di diventare un grande portiere di calcio, dopo avere giocato fra le riserve della Juventus, con comparsate in coppette e persino un’esperienza lampo in Sicilia, serie C. La pubblicità del primo Silvio Dolci, che studiava slogan, ideava manifesti, componeva filastrocc­he, o sceglieva il meglio di altri creativi suoi freschi allievi, era apparsa subito «extra», diversa, avanti. Quando si faceva dire ai bimbi alla radio «mamma io voglio il formaggino Mio» lui decideva di andare a Parigi, allora ancora capitale del mondo, a imparare la meglio «publicité», la «pub», e intanto a partecipar­e ai soci della Ville Lumière tante belle cose all’italiana. Il suo portafogli­o (si dice così, orribile) era pieno di grandi nomi dell’automobili­smo, dell’alimentazi­one, della farmaceuti­ca, della nautica, della moda. L’ufficio di Parigi si affermava e Silvio non doveva più mangiare cibo da scatolette poveracce e dormire in pensioni semilupana­ri presso la Gare de Lyon: apriva una sede chic presso i Campi Elisi, alloggiava nella strepitosa avenue Foch, il quartiere della Loren. Lui a Parigi vicino di pianerotto­lo di Ranieri di Monaco e di qualche Rotschild sempre faceva capo a Torino, e così fu anche quando una parte della sua agenzia rimbalzò a Milano. Decidendos­i di invecchiar­e, con la spinta di una vita privata piena di certami anche dolorosi, l’amico Silvio ha cercato e trovato soci giusti, conservand­o nell’agenzia un ruolo perfettame­nte meritato e riconosciu­to di guru. Lo piangono in tanti, giusto così. I funerali in forma privata domani, nella chiesa di collina dove c’era stata la funzione funebre per una delle sue tre figlie toltagli presto dal destino.

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Silvio Dolci (foto da dolciadv.it)

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