Sartorio, magnifiche presenze
Tra i maggiori artisti dell’era simbolista in Europa, amico di D’Annunzio, trovò a Firenze il punto di riferimento della sua esistenza nomade. Ora una mostra da Gonnelli lo riporta alla ribalta
La Casa d’Arte Gonnelli di Firenze apre oggi una mostra dedicata a una dei maggiori artisti dell’era simbolista in Europa: Giulio Aristide Sartorio, legato specialmente a Gabriele D’Annunzio nelle intonazioni di comuni miti e percorsi. L’esposizione, curata con la consueta precisione da Emanuele Bardazzi, resta aperta fino al 31 maggio, presentando un vasto numero di disegni a tempera creati dall’artista nel 1891 per illustrare il volume Le feste romane di Ruggeri Bonghi (di cui firmava una piccola porzione di immagini anche Ugo Fleres), edito da Hoepli. L’autore, letterato e uomo politico, descrive, divise per mesi dell’anno, le celebrazioni degli antichi romani. Il pittore dell’estasi panica (come nei dipinti strepitosi ambientati a Fregene, in cui raffigura la famiglia) trova nel tema un soggetto perfettamente consanguineo al suo stile e al suo temperamento. La carriera di Sartorio si svolse soprattutto tra Roma, città del suo apprendistato, e il Nord Europa, tra Londra, dove scoprì e amò i preraffaelliti, e la Germania, dove lo attiravano le figurazioni dei maestri antichi e dove fu professore a Weimar dal 1896 al 1900. Prima attratto da quel mondo, volle poi inneggiare al recupero della tradizione nazionale, di cui fu strepitoso interprete.
Firenze fu però sempre un punto di riferimento della sua operosa esistenza nomade. L’opera con cui diventò celebre, il trittico Le vergini savie e le vergini stolte reca nella porta centrale una riproduzione del battistero della città, lo stile è riferito a Botticelli e ad altri maestri rinascimentali, che Sartorio aveva studiato analiticamente nel corso di un viaggio finanziato nel 1890 dal suo committente Gegè Primoli, con cui ebbe poi dissapori. Del 1895 è la neorinascimentale Madonna degli angeli ,incuia posare per la vergine fu, secondo alcuni studiosi, la moglie del Vate, Maria Hardouin. D’altra parte in un suo testo, critico e polemico, Nota su Dante Gabriele Rossetti uscito sulla rivista dei decadenti romani, Il Convito nel 1895, le sue dichiarazioni sono categoriche: «Gl’italiani sono stati maestri nel penetrar gli argomenti con lucidità ferma e felice; né i presenti accenni a un’arte intensa, drammatica, altamente sociale, sono nuovi per noi. Invero Gaddi, Signorelli, l’Orcagna, Michelangelo, Leonardo hanno più volte trovata la parola esatta».
Una lista che illustra una notevole frequentazione di territori toscani. Ricorrente è il tema dantesco, con cui si presenta nel 1896 alla Festa dell’Arte e dei Fiori fiorentina, con un magnifico Dante e Beatrice dal tratto simile ai momenti più accesi di Gustave Moreau. Sartorio era anche scrittore, l’amico D’Annunzio apprezzava i suoi sonetti, tramati di rimandi danteschi: «per Ognissanti Beatrice è morta». Malgrado numerose presenze, non molto si trova delle sue opere nei musei fiorentini, spicca un notevole Autoritratto del 1915, richiesto all’artista dagli Uffizi e donato, dopo la sua morte, dalla vedova Marga Sevilla, un’opera di grande bellezza, tra bianco e ocra. Il legame di Sartorio con Firenze venne rafforzato dalla presenza della figlia Angiola, strepitosa coreografa e danzatrice, avuta nella tempestosa e breve relazione con l’artista Julie Bonn, che veniva da una famiglia di banchieri. La signora, che aveva studiato con il rivoluzionario Rudolf von Laban, era riuscita di fatto a conoscere brevemente il padre solo nel 1931, poco prima della sua scomparsa. In breve era diventata una delle interpreti principali del maestro della danza espressionista, Kurt Jooss, che con il suo celebre Tavolo verde portò la politica (e nello specifico l’ascesa del nazismo) sui palcoscenici. Questo lavoro e la Pavane auf den Tod einer Infantin, creato espressamente per lei, vennero presentati a Firenze, con grande successo. Nel 1933, non essendo disponibile il suo maestro, venne chiamata a firmare le coreografie del clamoroso Sogno di una notte di mezza estate, diretto da Max Reinhardt, che trionfò al Primo Maggio Musicale. Nello stesso anno, potendo contare sul supporto del padre, gradito alle autorità del regime, e su quello del Duca di San Clemente, aveva fondato la Scuola di Danza della Città di Firenze, prima collocata al Teatro Comunale, poi in un palazzetto a Borgo Santi Apostoli. Questa istituzione era quella più all’avanguardia in Italia, offrendo una ampia gamma di corsi, per dilettanti e professionisti. Nel suo tempo fiorentino partecipò anche alla tragicomica epopea di 18 BL, celebrazione mussoliniana di masse alle Cascine. Malgrado i contatti con il regime, la scuola venne in breve abbandonata e Angiola si preparò a emigrare verso gli Stati Uniti, dove ebbe una strepitosa carriera come didatta.
Di lei ha parlato, recentemente, la mostra Isadora Duncan e le arti figurative in Italia a Villa Bardini (2019), mentre Aristide Sartorio è comparso soltanto finora in esposizione collettive (come I tesori del mare, 2003), varrebbe la pena di raccontare questi incroci di arte e vita a Firenze tra Ottocento e Novecento.
La figlia Angiola Fondò al Teatro Comunale la scuola di danza più all’avanguardia in Italia