Mauro Repetto
Ritorno agli anni 90 tra canti, balli e IA con il co-fondatore della band che porta al Puccini «Alla ricerca dell’uomo ragno». «Conta ancora solo l’amicizia» «Io e Pezzali sembravamo due banaloni ma oggi i giovani sognano come noi» nd «Siamo tutti superer
All’apice del successo scende «dalla giostra» in corsa per «cercarne una più veloce». E non gliene importa nulla se così rinuncia a tonnellate di soldi. Insegue «il sogno americano» per poi seguire «un altro piano ancora». È un entusiasta Mauro Repetto, non si guarda indietro mai: «L’energia va impiegata per costruire strade nuove». La giostra da cui ha deciso di scendere 30 anni fa esatti è la band che nel 1988 ha fondato in coppia con Max Pezzali: gli 883, una macchina da hit e da tormentoni a partire dal primo esplosivo successo
Hanno ucciso l’uomo ragno. Canzoni che lui e Pezzali hanno scritto a 4 mani, ma tutta la gloria è rimasta al collega, lui, per volontà del manager Claudio Cecchetto, doveva solo saltellare alle spalle del frontman. Ora debutta in teatro con Alla ricerca dell’uomo ragno, dove racconta la storia di canzoni di culto viste dalla sua (per il pubblico inedita) prospettiva. Un one-man show fatto di canzoni, danze, ricordi e anche Intelligenza Artificiale per raccontare come sarebbe stata la vita se il destino avesse preso certe direzioni. Ieri Mauro Repetto è venuto a raccontarsi nella redazione del
Corriere Fiorentino, sarà al Teatro Puccini il 20 maggio.
Repetto, lei è uscito di scena nel momento di massimo successo degli 883...
«Non sono fuggito, sono solo andato verso un sogno diverso, il sogno americano. Adesso fa ridere parlarne, ma all’epoca viverci era la cosa più bella che potesse capitare. Poi avevo perso la testa per una donna americana».
Niente rabbia né ribellione né insofferenza per essere visto solo come «il biondino che balla dietro Pezzali»?
«Andarmene è stato come bere un bicchiere d’acqua. Altri sarebbero rimasti per cavalcare l’onda? Può essere. Mi servivano scosse emotive».
Le piaceva il suo ruolo? Era sempre così serio.
«Perché salivo sul palco senza sapere cosa facevo, dovevo concentrarmi. Ero tesissimo. Guardavo i video di Janet Jackson, delle ballerine dei primi clip di Mc Hammer, e cercavo di impararli a memoria. Poi me ne dimenticavo e iniziavo a saltellare. Non impazzivo per quel che facevo, ma c’era tanta genuinità».
Le sue scelte di vita sono da vero sognatore. Oggi forse nessuno farebbe come lei...
«Metà degli adolescenti di oggi sognano come noi nella Pavia anni 80. Mia figlia di 16 anni è uguale a come ero io».
Nessuna ruggine con Cecchetto che volle per lei un ruolo di secondo piano?
«Solo gratitudine, è il Walt Disney italiano, un Re Mida. L’unico a credere nelle nostre canzoni».
Nello spettacolo l’Intelligenza Artificiale fa da macchina del tempo e da sliding door: se le cose fossero state diverse...
«Quando andai a Miami per conquistare la modella più bella del mondo, non andò come speravo. Trent’anni dopo, grazie all’Intelligenza Artificiale, la figlia ipotetica che sarebbe potuta nascere da questa coppia improbabile, bussa alla mia porta e dice: “Papà, io ci credevo, ma non sono potuta nascere perché ballavi proprio male per risultare affascinante per la mamma. Vieni che t’insegno un balletto”. Parliamo però di una IA al servizio della mia poetica, non il contrario».
E poi tornano virtualmente gli 883.
«Un dialogo tra noi, prima del successo. Un percorso a ritroso con aneddoti mai raccontati. Recito, ballo, canto anche un brano inedito».
Il rapporto con Pezzali?
«Come due vecchi amici al bar. Sono da sempre un suo grande fan, canta come Frank Sinatra. Non contavano le gerarchie, né il successo, solo l’amicizia».
Passato il sogno americano, si è laureato in Lettere ed è andato a lavorare per la Disney. Prima vestiva i panni del cowboy, adesso è event executive. Mai un rimpianto?
«Mai. Ho buttato via lo specchietto retrovisore. Trattengo solo l’energia per guardare al futuro e divertirmi».
La critica e gli intellettuali negli anni 90 vi hanno snobbato, 30 anni dopo riscoperti. Cosa è successo?
«Sembravamo due banaloni di provincia. Poi si son resi conto che quelle cose appartenevano anche al loro vissuto, che avevamo ragione noi. Eravamo orgogliosi di essere due logorroici sfigati che rappresentavano questa condizione con quelle canzoni. Quella schiettezza è stata capita nel tempo. Nel mercato musicale oggi non puoi essere né logorroico né sfigato».
Non cerca giustizia né risarcimenti dalla storia, e non batte i pugni sul tavolo. Cosa cerca?
«Cerco l’Uomo Ragno, quello che non muore mai, il superpotere dentro di noi».
Che sarebbe...?
«Agire d’istinto, di pancia. Impegnarsi e affrontare la vita col sorriso. Possiamo farlo tutti, siamo tutti supereroi».
Eravamo orgogliosi di essere due logorroici sfigati di provincia che rappresentavano questa condizione con le nostre canzoni Quella schiettezza è stata capita nel tempo