Corriere Fiorentino

Ranchetti, il poeta degli «Ultimi preti»

- Di Luca Scarlini

«Ho insegnato molto e non ho imparato niente», così Michele Ranchetti voleva consegnare il suo magistero ai posteri, in un discorso del 2002. Maestro degli studi sui temi della fede (e in specie sulla esperienza perseguita­ta dal Vaticano del Modernismo italiano), traduttore di Freud e Wittgenste­in, poeta, artista, ha lasciato una vasta messe di opere, che negli ultimi anni sono state raccolte da Edizioni di Storia e Letteratur­a, che dal 1999 pubblica i suoi Scritti diversi, divisi per temi, nonché gli Scritti in figure, mentre Quodlibet ha proposto la produzione poetica, e quella diaristica, mentre nel 1998 aveva pubblicato Anima e paura

una raccolta di scritti in onore, curati da Bruna Bocchini Camaiani e Anna Scattigno. Nel volume II degli Scritti diversi, molto si tratta di esperienze della Toscana e di Firenze, dove Ranchetti a lungo insegnò storia della chiesa. Scorrono testi su Un radicalism­o della prassi: l’Isolotto, su David Maria Turoldo, che fu a lungo in Toscana, don Zeno Santini, con la sua esperienza profetica di Nomadelfia, collocata vicino a Grosseto, come anche su padre Balducci. In questa messe di scritti, editi spesso su riviste, si disegna un quadro assai complesso di esperienze, che ha riassunto nel volume Ultimi preti. L’ultima lirica, raccolta in Poesie prime e ultime

(Quodlibet) inizia: «All’aprirsi del giorno non sai/ se la luce più ti riguarda: i fatti/ sono morti nel sonno: all’accadere/ vivo non sei più presente».

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