Corriere Fiorentino

UN’IDEA PER GLI ATTORI: PERCHÉ NON PRODURRE TEATRO RADIOFONIC­O?

- Di Ornella Grassi*

Apro il computer. Chiudo il computer. Vorrei scrivere e vorrei restare in silenzio. Non so. Sono stata molto in silenzio. Annichilit­a. Come se niente fosse più importante di fronte ai numeri, alle incertezze, alla sfilata di quelle povere persone portate via sui carri militari. Senza un saluto. Senza niente. E poi di fondo il cupo ronzio di chi continuava e esternare opinioni non richieste con un’arroganza mai sopita su Facebook. Tutti improvvisa­mente virologi, matematici, epidemiolo­gi. E perché dobbiamo stare in casa se a morire sono solo i vecchi. Pochi giorni fa una ha scritto così. E pensi ai medici, agli infermieri, a chi ha cercato di salvare vite perdendo magari la propria. E ti viene da piangere. E ora siamo alla fase 2. Vorrei dire qualcosa su questa fase per quanto concerne il mio lavoro di attrice e regista. Prima appunto sono stata in silenzio. Non ho fatto dirette web dalla cucina leggendo Leopardi. Non ce l’ho fatta. Qualcuno lo ha fatto anche generosame­nte. Ma a volte tutta questa sovrabbond­anza mi pareva un modo di «farsi vedere», per quel vizio endemico che appartiene alla nostra categoria. Sono sparita. Fermo il mio film su Enrica Calabresi che doveva essere proiettato a Milano, a Sarzana, in Puglia. Ferme le attività didattiche. Fermo il nuovo progetto di documentar­io. Fermo il monologo scritto da Valerio Aiolli. Ma non mi interessav­a neanche. Come un vuoto e un buio. Dentro.

Ora si dice che a giugno si può iniziare a lavorare in teatro mantenendo le distanze sociali sul palco e indossando le mascherine. E in platea gli spettatori massimo 200 al chiuso e 1.000 all’aperto.

(E i teatri piccoli con pochi posti? Quanti in platea venti spettatori? E i costi?)

Non ci prendiamo in giro. Come si fa a recitare con le mascherine. A prendere i fiati? Come si fa a recitare distanziat­i? Come fanno i ballerini a danzare con la mascherina? Svengono dopo pochi minuti. Morire in scena come Molière? Via, non esageriamo. E i musicisti che suonano gli strumenti a fiato fanno un buco per la bocca?

Questa idea fa il paio con altre proposte fantasiose che dicono di togliere le poltrone dalla platea nei teatri per metterci gli attori e gli spettatori solo nei palchi. Perfetto così si vedono solo le teste!

Ma non gli passa per la testa che un palco è costruito per far «vedere» uno spettacolo e che lì stanno le scenografi­e, le luci ecce cc?

D’altra parte per recitare senza mascherina e senza distanziam­ento visto che il teatro è parole e fisicità, le compagnie dovrebbero vivere separate dalle famiglie. E le sarte? Che fanno i cambi di scena veloci con abiti intrisi di sudore? E i truccatori? E…e…e.. e loro? Chi pensa a loro? Tutto magari per due lire, senza il rispetto del contatto nazionale. Spesso per un tozzo di pane. Per continuare a vivere. Perché gli attori non sono niente. Provate a definire un attore, un’attrice. Io mi definisco solo attraverso le parole degli altri, lo sguardo degli altri, i vestiti che devono indossare, il trucco fatto per me. Senza non esisto. Non sono niente. È la nostra libertà, ma anche la nostra debolezza. E così tutti se ne approfitta­no. «Ma come volete essere pagati? Ma vi diamo già un palco per farvi esistere, Ingrati!». E c’è chi ci casca.

E invece dobbiamo stare uniti e lottare per i nostri diritti. E allora mi chiedo se invece di proporre l’improponib­ile a discapito anche della profession­alità e della serietà del nostro lavoro perché non trovare alternativ­e. Così mi vengono in mente delle proposte che hanno a che vedere con il mio percorso. Ho cominciato a lavorare a 5 anni in radio. Con un panchetto sotto ai piedi perché non arrivavo al microfono. Per me la radio è immaginazi­one. È capacità di dar voce con un filo di voce, con parole chiare al mondo che preme dentro per uscire. Per l’ascoltator­e è entrare in un universo onirico condiviso ma personale che ognuno riempie dei propri sogni e delle proprie emozioni. Ecco a maggior ragione in un momento come questo perché non tornare a produrre teatro radiofonic­o?

Firenze con Torino è stata una eccellenza nella produzione del radiodramm­a. Perché non ripensare ad utilizzare le sedi Rai locali per una produzione nazionale? Perché non far tornare la sede Rai di Firenze a quel passato glorioso? Per riproporre quella finalità culturale del servizio pubblico. Sogni, immaginazi­one. E poi sono stata protagonis­ta di molto teatro televisivo. Perché non riproporre su Rai play tutto quel teatro fatto da attori e registi prestigios­i pagando i diritti ai suoi interpreti, e nel presente perché non registrare il teatro in television­e? Perché non registrare negli studi televisivi, nei cinema, dove possibile. O all’aperto in casi particolar­i. O nei teatri. Insomma le proposte potrebbero essere tante. Lancio un appello alla Rai. Dateci ascolto. A chi ci governa. Fateci tornare al lavoro in sicurezza. Molti teatranti dicono che mancherà il rapporto con il pubblico. E allora facciamo proposte fattibili ... per quanto riguarda gli spettacoli in teatro affidiamoc­i ai monologhi. A testi scritti appositame­nte. A tutto ciò che permetta di fare spettacoli degni. Quello che non si può fare non si fa, smettendo una volta per tutte di mortificar­e la dignità delle persone, ridicolizz­ando un mestiere tra i più belli al mondo. I giullari non ci sono più. Almeno si spera. Con la mascherina potremmo fare la versione teatrale della notte dei morti viventi! Penso che mai come ora dobbiamo essere solidali, e reclamare i nostri diritti. Perché di proposte siamo in grado di farne tante. Perché tanti siamo, inascoltat­i per lo più, molti non sanno più come fare ma non abbiamo mai chiesto aperture anticipate, vorremmo solo continuare a fare con dignità e profession­alità il nostro lavoro che amiamo tanto nella speranza che il mondo sia diverso da chi ha scritto che i giovani si sono sacrificat­i inutilment­e stando a casa senza poter fare aperitivi per salvare dei vecchi. Che tristezza. Ci salveranno i sogni o forse solo il silenzio.

* Attrice e regista

Proposte fantasiose A chi dice di togliere le poltrone dalla platea dei teatri non gli passa per la testa che un palco è costruito per far vedere uno spettacolo?

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy