«Chiedo il cambio di reparto, voglio lottare contro il virus»
È al termine del perfezionamento: «Sì, rischio, ma meglio io che uno di 60 anni»
È un giovane medico specializzando, arrivato quasi al termine del percorso di perfezionamento, che ha fatto richiesta di lasciare il proprio reparto per andare a lavorare in una corsia Covid di un ospedale fiorentino. Non vuole rendere pubblico il suo nome, né la sua disciplina specialistica, neppure l’ospedale, viste le regole stringenti dell’Asl sulla comunicazione: «Non voglio gloria, né problemi. Voglio solo lavorare, potermi rendermi utile».
Dottore, perché ha chiesto di poter lavorare in un reparto Covid?
«Dove sto lavorando adesso mi sento superfluo, c’è meno da fare rispetto alle settimane passate. Poter lavorare tra i malati di coronavirus invece è quello di cui c’è bisogno in questo momento. I colleghi faticano a gestire i tanti pazienti, le tante polmoniti, voglio dare una mano».
Non ha paura?
«So che anche un giovane può rischiare di finire intubato in terapia intensiva ma, anche se in misura minore, i rischi ci sono dappertutto, negli altri ospedali come in strada. In linea di massima, un giovane, anche se viene contagiato, è più probabile che sia asintomatico. In teoria i medici potrebbero essere costretti a lavorare anche se contagiati. E quindi è meglio che chieda il trasferimento di reparto io che un medico di 50, 60 anni, che rischia molto più di me».
È per una situazione come questa che, qualche anno fa, ha deciso di diventare medico?
«Questo scenario non me lo sarei mai immaginato. Avevo deciso di fare il medico perché mi interessava studiare le materie scientifiche, non con l’idea di ritrovarmi in mezzo ai pazienti».
Però al momento del bisogno lei c’è. I suoi colleghi fanno altrettanto?
«Ci sono specializzandi in medicina interna che, con la conversione dei loro reparti in Covid, si sono trovati gioco forza sul fronte coronavirus. Altri vogliono fare come me, altri no per paura. Ma sono scelte da rispettare. Io spero che mi diano il via libera nei prossimi giorni, appena si risolve un piccolo intoppo burocratico sulla mia copertura assicurativa».
Crede che la Regione dovrebbe chiamare in massa gli specializzandi nelle corsie di cui c’è bisogno?
«Altre Regioni lo hanno già fatto. Visto che da noi, anche se non c’è una carenza grave di medici, una carenza pur c’è, sarebbe il caso di farlo. Certo, un medico non ancora specializzato non lo puoi mettere in terapia intensiva a gestire un paziente attaccato al ventilatore. Ma in reparti Covid a bassa intensità non ci sono problemi, lavorarci non è così diverso dal farlo in reparti tradizionali».
Si è già fatto un’idea di cosa dovrà fare?
❞ Dove lavoro adesso mi sento superfluo, e i colleghi faticano a gestire i tanti pazienti...
«Più o meno quello che i medici fanno sempre: visitare, decidere le cure, cambiarle se serve, valutare esami strumentali, stando un po’ più attento a evitare di farsi infettare».
❞ Visiera e tuta? Ho già fatto tre prove, un po’ caldo ma devo dire che mi ci trovo a mio agio
Ma lavorare con una tuta e una visiera non è un po’ più complicato?
«Sì, ma ho già fatto tre prove di vestizione e devo dire che, a parte il gran caldo, mi ci trovo a mio agio. Ecco, per tornare alle terapie intensive, lì tengono la tuta anche per 12 ore di seguito e così vestiti devono anche voltare i pazienti sul letto».