Attesa Ribery Il ritorno del francese solo fra un mese (forse anche di più)
Arrivato in Serie A a vent’anni proprio grazie alla Fiorentina, qui non è mai riuscito a sfondare: otto presenze e un solo gol Poi la finale di Coppa del Mondo con la Croazia e il boom
C’era un gran traffico, quel giorno, dalle parti del Franchi. Del resto, quella, era stata un’estate movimentata fin dall’inizio. Era, per intendersi, l’estate di Mario Gomez. E poi ancora Alonso, Joaquin, Ambrosini, Ilicic. Un (super) mercato che proiettò la Fiorentina in una nuova dimensione anche se, allo stesso tempo, ci furono cessioni pesanti. Quella di Stevan Jovetic, per esempio, o quella di Adem Ljajic.
E qui veniamo a quella giornata da «bollino rosso». Nella pancia del Franchi infatti, si lavorava (contemporaneamente) a due operazioni. Una in entrata e una (la cessione di Ljajic alla Roma ) e una in uscita. E così, mentre il giovane serbo salutava per l’ultima volta i compagni, Daniele Pradè ed Eduardo Macia accoglievano colui che avrebbe dovuto sostituirlo. Per ruolo, e per prospettive. Per Ante Rebic, quello, fu il primo giorno da giocatore della Fiorentina. Acquistato dall’RNK Spalato per 4,5 milioni di euro e accompagnato da mille speranze. Troppe, forse, per un ragazzo che all’epoca aveva solo 20 anni. Promesse che, a Firenze, non seppe mai mantenere. Anzi. Poche occasioni, quasi tutte sprecate, e un lungo girovagare alla ricerca di una consacrazione che pareva non arrivare mai. Basta dare un occhio ai numeri. Prima stagione: quattro presenze e un gol in campionato, una presenza (e una rete) in Coppa Italia. Poi, la lunga trafila di prestiti: Lipsia (10 partite e nessun gol nella Serie B tedesca), altri sei mesi in viola (4 apparizioni e una rete in Serie A, una presenza in Coppa Italia), e quindi il Verona. Nemmeno in gialloblu, però, Rebic
riesce ad affermarsi: dieci «gettoni», e nemmeno lo straccio di un gol.
Il suo insomma, sembra il classico percorso del talento inespresso. Tanto fumo, ma poco arrosto. Tanto che, bocciato prima da Montella, quindi da Paulo Sousa, e infine da Stefano Pioli, la Fiorenalla tina (con Pantaleo Corvino alla direzione sportiva) decide di cederlo a titolo definitivo. Se ne va all’Eintracht di Francoforte, per 2 milioni di euro. Per lui, è la svolta.
Gioca, segna, sforna assist in serie e, nell’estate del 2018, è tra i trascinatori della Croazia che, in Russia, arriva fino
finale mondiale. Non a caso, finisce nel mirino di (tanti) top club europei. Il Bayern Monaco, soprattutto, lo corteggia a lungo. Una trattativa, poi sfumata, che anche a Firenze fu seguita con (parecchia) attenzione. Al momento della cessione infatti, il club viola mantenne una percentuale sulla futura rivendita. C’è chi parla del 30, chi del 40, chi del 50%. In realtà, ancora oggi, i contorni dell’affare non sono del tutto chiari. Gli stessi Daniele Pradè e Joe Barone, hanno in agenda un approfondito studio dei contratti per capire quale sia (realmente) la situazione. Di certo c’è che ad agosto il Milan lo ha acquistato in prestito biennale (per 5 milioni) con diritto di riscatto fissato a 25 e che ora, il croato, è forse il giocatore più in forma della Serie A. Leggere, per credere: 10 presenze, nel 2020, e sei dei 12 gol (totali) segnati dai rossoneri tra campionato e Coppa Italia. Più che Ibra, è lui che sta riportando in alto i rossoneri. E pensare che nei primi sei mesi, di lui, non c’era traccia. Tanta panchina, e zero soddisfazioni.
Tanto che a gennaio era pronto per tornare all’Eintracht. «Credo che stia così bene perché, pensando di dover iniziare una nuova avventura, durante le vacanze si è allenato come un matto per farsi trovar pronto», ha raccontato Pioli che, sabato, punterà soprattutto su di lui. Sarà la prima da avversario, al Franchi, per il croato. In quello stadio che troppo presto, forse, lo ha «marchiato» come «bidone».
Sabato sera Rebic torna al Franchi per la prima volta da avversario: con il Milan sta segnando a raffica