DA EINAUDI A D’ALEMA, I POTERI SENZA IRONIA
❞Beh, dài, stavolta gli va riconosciuto: ha replicato con un certa souplesse. Da un lato ostentando bonaria tolleranza, dall’altro esibendo buonismo religiously correct. Insomma: «ragazzacci» del Vernacoliere (il direttore Cardinali va per gli 83...) prendetevela pure con me e con i miei fanti, ma lasciate stare i santi.
Amen. Bacioni. Peccato che il tweet salviniano, per quanto soft, abbia un punto debole, subito sbeffeggiato come tale nei mille tweet e post piovuti in risposta: quel dar di cornuto all’asino, da parte del bue. «Scusa tanto, capitano, ma a tirare in ballo a sproposito la Madonna, e il suo cuore immacolato, non hai forse cominciato proprio tu?». Senza dire che il mensile satirico livornese a certe «tirate in ballo» non è certo nuovo. Una volta, fu querelato (e assolto) per vilipendio alla religione, a causa di un titolo in odor di blasfemia, che definiva «trogolona» una sessualmente ammiccante rockstar, guarda caso dotata di nome d’arte coincidente con quello della Beata Vergine. E altre accuse di vilipendio piovvero sui ragazzacci livornesi in occasione dell’ascesa al soglio pontificio di Joseph Ratzinger («era meglio un Papa pisano, almeno si rideva un po’»). Stavolta, solo una tirata d’orecchie, via!
In passato, i rapporti fra satira e potere sono stati assai più cruenti. Giuseppe Scalarini fu confinato a Ustica per le sue vignette antifasciste sull’Asino. Giovannino Guareschi, prima di finire addirittura in galera per diffamazione nei confronti di De Gasperi, aveva già subito una querela per vilipendio al Capo dello Stato, nel 1950, quando, sul Candido da lui diretto, apparve una vignetta di Carletto Manzoni dove i «Corazzieri» del titolo, passati in rivista dal Presidente Einaudi, erano le bottiglie di Nebbiolo da lui prodotte con tanto di logo senatoriale sull’etichetta. E nove anni più tardi, altro caso-Quirinale, con altro Capo di Stato. Giovanni Gronchi, dopo il cascatone stile Paperissima in cui era incorso nel palco reale della Scala, avrebbe così poco gradito una battuta di Tognazzi e Vianello nel loro Un, due, tre! televisivo, dal chiederne il licenziamento in tronco, e la chiusura del programma. «Ma chi ti credi di essere?» aveva apostrofato Tognazzi, caduto a terra, l’ineffabile Raimondo. Però: permalosetto, il Pontederese! Per far fuori dalla tv di Stato per oltre quindici anni Dario Fo e Franca Rame ci sarebbe voluto uno sketch di denuncia, a Canzonissima ‘62, sulla mancanza di misure di sicurezza nei cantieri edili, settore assai caro alla Dc imperante. E mentre al futuro capopopolo Beppe Grillo, per venir bandito dalla Rai, sarebbe bastata, nel Fantastico 7 dell’86, una tutto sommato corriva barzelletta in cui il premier Craxi e la delegazione del Psi in visita in Cina si chiedevano smarriti: «Se qua sono tutti socialisti, a chi rubano?», negli anni ‘90 berlusconiani sarebbe stato l’esplosivo mix di Daniele Luttazzi a esporre quest’ultimo all’ostracismo del celebre «editto bulgaro» del Cavaliere. Fin qui la tv. Mentre a passar guai sulla carta stampata è stato soprattutto Giorgio Forattini. Una collezione di oltre venti querele. La più celebre per la vignetta su Repubblica in cui, nel 1999, Massimo D’Alema appariva intento a sbianchettare la lista dei nomi del caso Mitrokhin. Prima di condiscendere, due anni dopo, al ritiro di querela, l’allora premier chiese 3 miliardi di lire di risarcimento. E creò problemi alla sinistra perfino il falso Forattini campeggiante, nel 1986, sulla prima pagina dell’inserto satirico dell’Unità, Tango, voluto dal direttore Emanuele Macaluso e realizzato da Sergio Staino. L’allora segretario del Pci, Alessandro Natta, vi era effigiato mentre ballava nudo il suo«nattango» al suono di un duo orchestrale composto da Craxi e Andreotti. Apriti cielo! Lesa maestà. Ancora anni più tardi, dopo la svolta della Bolognina, il buon Natta accusava Staino d’essere stato, in combutta con i miglioristi, il vero responsabile della fine del Pci.