Corriere Fiorentino

IL PD E LA RICERCA DELL’OLTRE (NASCONDEND­O IL SIMBOLO)

- Di David Allegranti

I simboli del Pd sono spariti dalle campagne elettorali per le Amministra­tive, come se il maggior partito di centrosini­stra (ma non di opposizion­e: paradossal­mente, Lega e M5S ricoprono a turno anche quel ruolo prendendos­i quotidiana­mente a ceffoni) fosse un fardello per i candidati alle prossime elezioni comunali. Per capirlo, basta vedere i manifesti in città e la comunicazi­one sui social di Dario Nardella e Matteo Biffoni, due sindaci che a maggio si giocano il secondo mandato. L’attesa di un congresso durato un anno, l’insoddisfa­zione nei confronti delle classi dirigenti progressis­te, il senso di disorienta­mento dell’elettorato di fronte a risse improdutti­ve hanno portato il ceto politico di centrosini­stra a distaccars­i da se stesso, a fingere di non appartener­e a un partito e a una sua storia. Per questioni di tattica politica — tenersi alla larga da un brand che non funziona — pare insomma che i primi a non credere più al Pd siano i suoi stessi dirigenti, che hanno bisogno di andare «oltre». Una parola cara a tutti i candidati alle ultime primarie, che per tutta la campagna elettorale hanno spiegato quanto fosse importante avere un «campo largo», perché il Pd da solo «non basta» e, anzi, «non basta più». Lo hanno ripetuto tutti, anche chi ha vinto il congresso. Nicola Zingaretti infatti vuole costruire uno schieramen­to «da Tsipras a Macron», a partire dalle liste per le Europee.

Questa ambiguità, che consiste nel tenere insieme tutto per non tenere insieme niente, fatta di simboli mancanti e identità liquide, non potrà che essere risolta dopo il voto, specie se Matteo Salvini si avvicinerà al successo dell’altro Matteo, quello delle Europee del 2014. Anche perché per quanto uno possa non essere d’accordo con le policies del segretario del Lega, il caso Salvini insegna quanto sia importante avere oggi un’identità definita. Il ministro dell’Interno non nasconde i suoi simboli di partito, anzi ne fa un punto di forza e li ostenta. Dove non ne ha inventa una tradizione.

Ora, per il Pd ci sono due strade per risolvere la questione. La prima è l’arroccamen­to identitari­o (che è diverso dall’avere una identità), con il Pd che torna a essere la «ditta», si ritiene autosuffic­iente e schiaccia le sue altre componenti, a partire da quella liberal-democratic­he, fino a farle fuggire.

La seconda è più faticosa, perché gli attuali dirigenti del Pd dovrebbero accettare l’idea che da soli non possono farcela — al di là di piazzare qualche candidato macroniano in lista alle Europee (peraltro con risvolti curiosi; Caterina Avanza di «En Marche», oggi in lista nel Pd, nel 2013 era candidata con Ingroia al grido di: tutti i partiti fanno schifo) — e favorire consensual­mente la nascita di un partito di ispirazion­e liberal-democratic­a.

Questo Pd zingaretti­ano infatti avrà presto bisogno di un centro al suo fianco. Come dice Giuliano da Empoli la «Rifondazio­ne Pd» è pienamente legittima; Zingaretti ha vinto il congresso sulla base di quelle premesse e oggi sta sempliceme­nte mantenendo le aspettativ­e.

«È chiaro — dice da Empoli — che dopo la fine della stagione renziana doveva esserci, in quel mondo lì, un momento di questo genere, che permette di far sentire di nuovo a casa propria tante persone che non ci si sono sentite nel corso degli ultimi anni. Il limite implicito di un’operazione di questo tipo è che la sua forza espansiva è molto bassa. Quello di Zingaretti è un lavoro di consolidam­ento e in una logica proporzion­ale ha senso e per quanto mi riguarda si può sostenere che fosse necessaria».

Alla destra del Pd si apre dunque uno spazio, la questione è che il centro liberaldem­ocratico è più affollato di un rissoso condominio. C’è Matteo Renzi, che ancora non ha abbandonat­o i suoi progetti di rientro sulla scena, c’è Carlo Calenda, che adesso sarà testato alle Europee visto che è capolista nel Nord-Est, c’è Marco Bentivogli, che da sindacalis­ta della Cisl era già stato tentato da una candidatur­a alla guida del Pd. I generali sono dunque molti, l’elettorato potrebbe non essere così numeroso da accontenta­rli tutti.

❞ Basta guardare le campagne di Nardella a Firenze e Biffoni a Prato: i simboli dei Democratic­i sono spariti, come se il maggior partito di centrosini­stra fosse un fardello per i candidati alle elezioni comunali

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(e da qualche retrobotte­ga) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva Twitter @davidalleg­ranti
Cronaca, cronaca politica. Dai palazzi romani, ma anche dalle piazze (e da qualche retrobotte­ga) di tutta Italia. Per capire che cosa ci è successo nell’ultima settimana. E cosa c’è da aspettarsi da quella successiva Twitter @davidalleg­ranti
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Nicola Zingaretti
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