IL PD E LA RICERCA DELL’OLTRE (NASCONDENDO IL SIMBOLO)
I simboli del Pd sono spariti dalle campagne elettorali per le Amministrative, come se il maggior partito di centrosinistra (ma non di opposizione: paradossalmente, Lega e M5S ricoprono a turno anche quel ruolo prendendosi quotidianamente a ceffoni) fosse un fardello per i candidati alle prossime elezioni comunali. Per capirlo, basta vedere i manifesti in città e la comunicazione sui social di Dario Nardella e Matteo Biffoni, due sindaci che a maggio si giocano il secondo mandato. L’attesa di un congresso durato un anno, l’insoddisfazione nei confronti delle classi dirigenti progressiste, il senso di disorientamento dell’elettorato di fronte a risse improduttive hanno portato il ceto politico di centrosinistra a distaccarsi da se stesso, a fingere di non appartenere a un partito e a una sua storia. Per questioni di tattica politica — tenersi alla larga da un brand che non funziona — pare insomma che i primi a non credere più al Pd siano i suoi stessi dirigenti, che hanno bisogno di andare «oltre». Una parola cara a tutti i candidati alle ultime primarie, che per tutta la campagna elettorale hanno spiegato quanto fosse importante avere un «campo largo», perché il Pd da solo «non basta» e, anzi, «non basta più». Lo hanno ripetuto tutti, anche chi ha vinto il congresso. Nicola Zingaretti infatti vuole costruire uno schieramento «da Tsipras a Macron», a partire dalle liste per le Europee.
Questa ambiguità, che consiste nel tenere insieme tutto per non tenere insieme niente, fatta di simboli mancanti e identità liquide, non potrà che essere risolta dopo il voto, specie se Matteo Salvini si avvicinerà al successo dell’altro Matteo, quello delle Europee del 2014. Anche perché per quanto uno possa non essere d’accordo con le policies del segretario del Lega, il caso Salvini insegna quanto sia importante avere oggi un’identità definita. Il ministro dell’Interno non nasconde i suoi simboli di partito, anzi ne fa un punto di forza e li ostenta. Dove non ne ha inventa una tradizione.
Ora, per il Pd ci sono due strade per risolvere la questione. La prima è l’arroccamento identitario (che è diverso dall’avere una identità), con il Pd che torna a essere la «ditta», si ritiene autosufficiente e schiaccia le sue altre componenti, a partire da quella liberal-democratiche, fino a farle fuggire.
La seconda è più faticosa, perché gli attuali dirigenti del Pd dovrebbero accettare l’idea che da soli non possono farcela — al di là di piazzare qualche candidato macroniano in lista alle Europee (peraltro con risvolti curiosi; Caterina Avanza di «En Marche», oggi in lista nel Pd, nel 2013 era candidata con Ingroia al grido di: tutti i partiti fanno schifo) — e favorire consensualmente la nascita di un partito di ispirazione liberal-democratica.
Questo Pd zingarettiano infatti avrà presto bisogno di un centro al suo fianco. Come dice Giuliano da Empoli la «Rifondazione Pd» è pienamente legittima; Zingaretti ha vinto il congresso sulla base di quelle premesse e oggi sta semplicemente mantenendo le aspettative.
«È chiaro — dice da Empoli — che dopo la fine della stagione renziana doveva esserci, in quel mondo lì, un momento di questo genere, che permette di far sentire di nuovo a casa propria tante persone che non ci si sono sentite nel corso degli ultimi anni. Il limite implicito di un’operazione di questo tipo è che la sua forza espansiva è molto bassa. Quello di Zingaretti è un lavoro di consolidamento e in una logica proporzionale ha senso e per quanto mi riguarda si può sostenere che fosse necessaria».
Alla destra del Pd si apre dunque uno spazio, la questione è che il centro liberaldemocratico è più affollato di un rissoso condominio. C’è Matteo Renzi, che ancora non ha abbandonato i suoi progetti di rientro sulla scena, c’è Carlo Calenda, che adesso sarà testato alle Europee visto che è capolista nel Nord-Est, c’è Marco Bentivogli, che da sindacalista della Cisl era già stato tentato da una candidatura alla guida del Pd. I generali sono dunque molti, l’elettorato potrebbe non essere così numeroso da accontentarli tutti.
❞ Basta guardare le campagne di Nardella a Firenze e Biffoni a Prato: i simboli dei Democratici sono spariti, come se il maggior partito di centrosinistra fosse un fardello per i candidati alle elezioni comunali