Il cipresso che non c’è più Vendetta contro Papini? Il taglio, la storia, i fulmini dello scrittore su Firenze
morte». Oggi all’incrocio è rimasto soltanto il Tabernacolo di Prosperi d’Assisi in onore dell’antica sosta qui di San Francesco che ricorda quando la via era soprannominata Borgo Pitiglioso, ovvero pidocchioso per la miseria e la sporcizia.
Fu eretto nel 1956 dal comitato per l’estetica cittadina, che con gli anni dev’essersi sciolto, arresosi all’asfalto sui vecchi lastricati, ai dehors nelle piazze, ai pali della tramvia, a Borg’unto, alle bici abbandonate e ai trolley strascicati sui marciapiedi. La scelta per l’abbattimento ha la storia dalla sua parte. Fu addirittura Cosimo I a imporre un divieto a costruire sul terreno del giardino Canigiani a causa della pendenza e del rischio idrogeologico.
Era il 1547, anno dell’ultima frana che sommerse 18 case e lasciò sotto le macerie un certo Bernardo Buontalenti poi preso sotto l’ala del Medici e divenuto il fine architetto consegnato alla storia. Non a caso sia Palazzo Capponi sia la chiesa di Santa Lucia si chiamano ancora oggi «delle Rovinate». I Canigiani, nonostante abbiano espresso (oltre alla madre del Petrarca), 50 Priori e 12 gonfalonieri della Giustizia non riuscirono a modificare il divieto mediceo. «L’abbattimento del cipresso è stato doloroso per la nostra famiglia e per la comunità di via de’ Bardi, — ha spiegato Sebastiano Capponi — ma non abbiamo, purtroppo, avuto altra scelta, la sicurezza deve passare innanzi a tutto. Ci teniamo invece molto che il giardino sulla cui ristrutturazione stiamo lavorando col Comune, diventi un luogo di iniziative culturali». «Il mondo va innanzi a furia di buon senso» ripeteva Gino Capponi citato da Piero Bargellini e l’abbattimento del «cipresso di Papini» non sembra scostarsi da questa lettura.
Forse allo scrittore del discorso contro Firenze passatista non sarebbe nemmeno spiaciuta l’idea di abbattere un cipresso che lo ricordasse. Per lui che invocava «la forza di buttar giù gli scenari pietrosi del nostro ostinato vecchiume» dev’essere stata una consolazione. Ma Papini non era uomo da consolazioni, era scotitore d’animi. L’abbattimento del suo cipresso potrebbe offrire uno spunto di riflessione per promuovere davvero un «caffè culturale» nel restaurando giardino, o per ricordare con una targa il civico 12 dove dimorò.
L’idea Ora si potrebbe pensare a fare un caffè culturale nel giardino Canigiani O, almeno, a mettere una targa sulla casa