La Fiorentina incespica su Insigne Pioli: dovevamo fare di più
Poche occasioni in attacco, mercoledì c’è la Sampdoria La Fiorentina resiste 80 minuti, poi l’attaccante napoletano decide una partita giocata senza slanci
Vedi Napoli, e poi ti fermi. Quello del San Paolo doveva essere un esame duro, e così è stato. Troppo forte, ad oggi, la squadra di Ancelotti. Tormentata da tanti problemi, è vero, ma con una consapevolezza di sé che la Fiorentina, ovviamente, ancora non può avere. E condannarla, oggi, non avrebbe senso.
È giusto, semmai, lavorare sui difetti (che ci sono, e ieri si son visti tutti) senza però lasciare che una sconfitta tolga il sorriso e la voglia di correre. Tre partite, sei punti, e un turno da recuperare. Non male, tutto sommato. Senza perdere di vista, e ci mancherebbe, l’analisi di quanto successo a Furigrotta. Pioli, anche stavolta, ha seguito la logica. Avanti con quelli che avevano vinto (e convinto) contro Chievo e Udinese quindi, con la sola eccezione di Veretout. La domanda era: al posto di Gerson o Edimilson? Alla fine, il mister, ha confermato le sensazioni della vigilia. Fuori lo svizzero, e conferma per il brasiliano. Del resto, era questo il centrocampo sul quale aveva lavorato per tutta l’estate. «Andremo lì per giocarcela», aveva promesso Pioli alla vigilia. Detto, e fatto.
Almeno nelle scelte. Perché sul campo, poi, s’è visto altro. Linea bassa, contenimento, e tante difficoltà nel ripartire. Una scelta? O, semplicemente, il Napoli l’ha costretta a giocarsela così? Vere entrambe le ipotesi, probabilmente. Certo, ci si aspettava un po’ più di faccia di tosta. Eppure, nelle pieghe della partita, s’è visto qualcosa che aveva già colpito contro l’Udinese: la maturità di questa squadra. Tanto giovane quanto capace di leggere le partite. Basta ripensare al primo tempo e a un Napoli che, inizialmente, era stato capace di sorprendere Pezzella e compagni.
Ancelotti infatti ha scelto una specie di 4-4-2, con Insigne e Mertens vicini e Zielinski e Callejon larghissimi sugli esterni. Non se l’aspettava così, la Fiorentina, e a tratti ha ballato. Eppure, nel giro di una ventina di minuti (nei quali ha corso un paio di pericoli), s’è sistemata. Certo, di lavoro da fare ce n’è ancora parecchio. Veretout, per esempio, deve calarsi a pieno nel nuovo ruolo. Normale. Senza dimenticare che per il francese, quella del San Paolo, era la prima partita ufficiale dopo quattro mesi di stop.
Ovvio, quindi, che abbia sofferto un po’ e che di conseguenza il centrocampo (anche per le caratteristiche di Benassi e Gerson) non abbia sempre garantito il filtro necessario. Non a caso, nella ripresa, Pioli (dopo nemmeno 20’) è corso ai ripari. Fuori sia il francese che il brasiliano, e dentro Dabo ed Edimilson. Perché investire sulla qualità è bello ma, a volte, serve altro. Muscoli e sostanza, per esempio. E accorgersene è segno di intelligenza. Peccato che, proprio quando la tormenta pareva passata, sia arrivato il gol di Insigne.
Una disattenzione improvvisa, pagata carissima. Questo sì, un peccato di gioventù. Così come resta il rammarico per tante (potenziali) occasioni sprecate. Questione di fretta, forse. E di scarsa lucidità. Perché quando devi rincorrere (e al San Paolo la Fiorentina spesso è stata costretta a correre dietro al Napoli) la fatica raddoppia. Dunque, è arrivata la prima sconfitta. Guai, però, a parlare di bocciatura della Fiorentina. Sarebbe ingiusto. Così come era sbagliato illudersi dopo le vittorie con Chievo e Udinese. Equilibrio, per intendersi, e testa alla Sampdoria. Giorno per giorno, partita per partita. Così, si rincorre l’Europa.