Corriere Fiorentino

Gli operai alla ribalta Però senza la tuta blu

- Gori

Il fiume di 5.000 persone che venerdì scorso a Figline si è stretto attorno ai 318 dipendenti della Bekaert è il termometro di una riscossa: gli operai, una realtà che in epoca di new economy poteva sembrare in declino, tornano alla ribalta. Del resto, i numeri di Irpet raccontano che la fabbrica, specie quella pesante, tra Firenze e provincia costituisc­e ancora il 19%del Pil. Contro il 4,5% del turismo. Secondo una ricerca di Fiom nella Città metropolit­ana le sole aziende metalmecca­niche sono 4.900 e danno occupazion­e a più di 39 mila lavoratori, per gran parte operai.

«L’apparente scomparsa degli operai dalla scena politica è figlia dello spezzettam­ento della produzione — spiega Vincenzo Colla, della segreteria nazionale di Cgil — Ma dove c’è un luogo fisico, la fabbrica, il peso degli operai è rimasto importante». «L’operaio non è più politicame­nte centrale come qualche decennio fa, non è più il motore di nuovi spazi di democrazia, al massimo li difende, ma è pur sempre rilevante nei processi politici e sociali — dice il professor Mauro Lombardi, docente di economia all’Università di Firenze — In parte pesa il fatto che un tempo attorno a una protesta operaia partecipav­ano anche altri tipi di lavoratori, che oggi sono frammentat­i in un universo di contratti atipici. Per questo, toccherebb­e forse all’operaio scendere in piazza quando licenziano, ad esempio, i portatori di pizze». Il caso della Bekaert di Figline, con la grande adesione alla manifestaz­ione, fa emergere che «il territorio — dice ancora Lombardi — può sostituirs­i al vecchio luogo fisico “azienda” che per molte profession­i è venuto meno».

È anche il concetto di operaio che è cambiato: se una volta si stava in catena di montaggio, oggi si è sempre più spesso al controllo gestione, dietro a un monitor, come in uno dei settori fiorentini più in crescita, quello di produzione delle macchine agricole. I prodotti tecnologic­i sono poi il risultato di una produzione fatta per «fasi»: la velocità di trasmissio­ne delle informazio­ni e dei trasporti fa sì che i vari passaggi per realizzare un bene complesso siano fatti in luoghi diversi. «A determinar­e la capacità di attrarre di un territorio sono la presenza delle competenze e il costo del sistema, che non è solo il costo del lavoro», spiega Lombardi. Come fare quindi ad attrarre investimen­ti ed evitare delocalizz­azioni? «La formazione delle competenze è decisiva — dice il professore — Da un lato, le istituzion­i politiche devono svolgere un ruolo di regia tra aziende, scuole, università, investitor­i, e non sempre da noi esiste questa capacità. Dall’altro c’è da ripensare le stessa formazione, perché se è competenza e innovazion­e sono necessarie, non si può fare l’errore di specializz­are troppo un territorio: un modello potrebbe essere la “formazione duale tedesca”, un’osmosi continua tra l’impresa e il mondo della ricerca, formazione profession­ale e teorica. Così, anche in caso di delocalizz­azione, si può pensare a riconverti­re operai e fabbrica».

In Toscana esistono realtà in cui scuola e impresa collaboran­o in modo positivo? Secondo Lombardi i modelli sono la pelletteri­a e il conciario, ma anche l’istituto Buzzi di Prato, che sforna diplomati che entrano nel mondo della moda. Il modello fallito è quello del tessile, che ormai la Cina ci ha strappato. «Innovazion­e e manifattur­a di qualità — sono le ricette anche per Vincenzo Colla — La Germania fa da riferiment­o. Per fare il salto di qualità serve una nuova alfabetizz­azione digitale, e servono incentivi alla ricerca che non si limitino ai semplici sgravi sull’acquisto delle macchine». A Pisa, il distretto bio-robotico sta decollando, quello che ancora manca è proprio il salto delle start-up in aziende strutturat­e, per cominciare ad assumere non solo ingegneri ma anche operai.

Il caso Bekart rappresent­a però un paradosso: gli operai di Figline si distinguon­o per la capacità di fare ricerca e sviluppo, hanno progettato per la multinazio­nale belga un prodotto innovativo, hanno insegnato come produrlo ai colleghi di Romania, Slovacchia e Cina, e ora vengono tagliati. Tagliati malgrado, o forse per, la loro competenza: «Bisogna trovare strumenti per evitare i mordi e fuggi delle multinazio­nali — dice Colla — Ma prima di tutto l’Europa deve evitare che i suoi fondi vengano usati dai paesi emergenti per fare dumping abbassando i salari: se un’impresa delocalizz­a dall’Italia alla Romania, e la differenza di costo del lavoro è pagata dalle nostre tasche, è francament­e insopporta­bile».

Colla (Cgil) L’apparente scomparsa degli operai dalla scena politica è figlia dello spezzettam­ento della produzione Ma dove c’è una fabbrica il loro peso è rimasto importante Lombardi Non c’è più la catena di montaggio, oggi sono decisive competenze e innovazion­e. Per questo bisogna puntare sul rapporto continuo tra imprese e ricerca

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