Corriere Fiorentino

«Ötzi era in fuga, l’ho scoperto così»

L’archeologa della Soprintend­enza racconta l’uomo dei ghiacci: ricco e braccato

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Un uomo in fuga, con armi ormai logore, braccato e assassinat­o. È la storia di Ötzi, l’uomo di 5.300 anni fa ritrovato sul ghiacciaio del Similaun. Come la racconta il team guidato da Ursula Wierer, della Soprintend­enza archeologi­ca di Firenze.

Un uomo in fuga, braccato e assassinat­o in alta montagna. Un uomo importante, probabilme­nte ricco e potente, che negli ultimi giorni di vita era ferito, con armi ormai logore, disperato.

È la storia di Ötzi, vissuto 5.300 anni fa, la cui mummia fu ritrovata il 19 settembre 1991 sul ghiacciaio del Similaun, nell’Alto Adige. Nel corso di questi decenni, numerose ricerche ne hanno ricostruit­o il ritratto, come fosse un grande puzzle cui aggiungere una tessera per volta. L’ultimo studio, sulla rivista Plos One, è stato diretto dalla dottoressa Ursula Wierer, funzionari­a della soprintend­enza dei beni archeologi­ci di Firenze. Il team di detective della preistoria, che comprende ricercator­i di Siena, Trento, Bolzano, Ferrara e Parigi, ha analizzato le armi e gli strumenti che Özli aveva con sé, con un livello di precisione simile a quello della polizia scientific­a durante le indagini su un delitto. L’analisi geologica delle sei selci di Ötzi ha mostrato che le pietre provengono da tre zone diverse del Trentino: «Questa varietà è una sorpresa: sapevamo che esistevano villaggi stanziali e che il commercio circolava attraverso degli ambulanti, ma non ci aspettavam­o che in una zona così periferica potessero verificars­i scambi così vari», dice Wierer, laureata in archeologi­ca a Siena, prima di lavorare al museo archeologi­co dell’Alto Adige. Ora, rientrata in Toscana, ha diretto lo studio che conferma che l’uomo del Similaun era importante, ricco e potente, come già anticipato da uno studio dello scorso anno che aveva stabilito che il rame dell’ascia di Ötzi proveniva proprio dalla lontanissi­ma Toscana: agli albori dell’età del rame, una cosa per pochi eletti. Fase due della ricerca, l’esame sullo stato delle punte: era Ötzi stesso ad affilarle, aveva con sé un ritoccator­e (una sorta di matita, con un cuore di corno di capriolo) compatibil­e col «ravvivamen­to» delle lame; la mano dell’uomo era esperta, ma non tanto da farne un profession­ista artigiano; non si può escludere invece che fosse un cacciatore, o forse altro. Di certo, quelle selci ormai erano vecchie, non più affilabili, e questo stona con la ricchezza del suo arsenale, fatto di punte di freccia, di un arco, di un’ascia di rame, di un coltello, un perforator­e, un grattatoio. Ma proprio per questo, «il fatto che non avesse disponibil­ità di selci nuove conferma il ritratto di un uomo in fuga – dice Wierer – Esattament­e quanto era emerso da una vecchia ricerca sui pollini che aveva nello stomaco, che raccontano che negli ultimi due tre giorni di vita va in alta montagna, poi torna a valle, poi ancora in alta montagna». E in una zona della Val Senales in cui all’epoca non c’era l’alpeggio degli animali, le transumanz­e sarebbero arrivate nella zona solo successiva­mente. Poi, grazie a un «gioiello» dell’Università di Siena, un video-microscopi­o che è stato trasportat­o fino a Bolzano (con tanto di costosissi­ma assicurazi­one sui danni), e alle ricerche della senese Simona Arrighi, sono state analizzate le attività delle selci, le tracce rimaste sulle punte dopo le ultime affilature: si è evinto che era destrorso, e che ci sono tracce di perforazio­ne di pelli e di piante, come legno morbido, cereali e piante selvatiche, non di animali, anche su strumenti come le frecce normalment­e destinate alla caccia. «Rivelano un utilizzo improvvisa­to – spiega Wierer – mentre alcune punte, dopo l’affilatura, non sono state neppure utilizzate». Questi risultati trovano del resto un riscontro nella ferita fresca che Ötzi aveva sulla mano destra, molto profonda, un tipico taglio da difesa, che gli avrebbe reso difficile utilizzare gli strumenti. Insomma, secondo la ricercatri­ce l’uomo del Similaun non era né un artigiano, né un pastore, era ferito, si spostava in fretta, aveva strumenti arrivati da molto lontano, tipici dell’uomo ricco e potente ma vecchi e logori, incapace ormai di cacciare. Ötzi muore a circa 45 anni di età, ucciso con un colpo alla schiena, con una freccia che gli recide un’arteria. Un giallo che ancora i detective della preistoria cercano di risolvere.

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