Galli: «I giovani devono avere l’opportunità di sbagliare»
Il campione del mondo ‘82 e la crisi azzurra: «C’è un modello da cui ripartire»
«Non buttiamo via tutto, la nostra Federazione sta svolgendo un buon lavoro». Giovanni Galli ha vinto il Mondiale nel 1982 e ha ricostruito il settore giovanile alla Fiorentina quando il fallimento dell’estate 2002 non aveva lasciato nemmeno casacche e palloni. Chi meglio di lui può ragionare sul momento più nero della Nazionale di calcio italiana.
Cosa bisogna fare per uscire dal tunnel?
«Innanzitutto dobbiamo lavorare per portare i nostri giovani a realizzarsi e compiere il salto dalla Primavera alla prima squadra. I talenti li abbiamo, molti ragazzi vengono mandati a maturare in Serie C trascurando l’aspetto umano: catapultare un giovane, da solo, in provincia è rischioso. Inoltre le società preferiscono far giocare i propri tesserati. Perché non viene imposto un limite minimo di giovani da impiegare?».
È qui che molti giovani promesse si perdono?
«Le nostre rappresentative ottengono ottimi risultati ma non riusciamo a trasformarli in campioni per la Nazionale maggiore». Come mai? «Non conosciamo la cultura della sconfitta. Facciamo la caccia a Tavecchio e Ventura per il Mondiale mancato e allo stesso modo non sappiamo far sbagliare i nostri giovani».
E qual è l’antidoto?
«Da troppo tempo si parla delle seconde squadre. Lì i ragazzi potrebbero crescere e misurarsi con coetanei e altre riserve con maggior esperienza. Avveniva già ai miei tempi col campionato De Martino. E poi dobbiamo creare un’identità nazionale».
Quanto conta la struttura del campionato di serie A?
«L’idea di ridurre a sedici o diciotto squadre ha un senso perché andrebbe ad alleggerire il calendario. Il commissario tecnico deve avere i giocatori a disposizione per spiegare loro cosa vuole. In Italia si attuano molti moduli, è naturale che ci siano richieste diversi fra club e nazionali».
Ridurre gli stranieri può avere un senso?
«Non si può mettere un limite al numero degli stranieri come fanno in altri paesi come in Russia. Per esempio, in Cina non ci possono essere portieri di altre nazionalità. Ipotesi inattuabile da noi, ma qualche compromesso si può trovare.: chi arriva dall’estero nel settore giovanile deve essere acquistato solo se ha le credenziali per fare la differenza, non se è una sorta di riempitivo».
Prima di tutto, però, c’è la scuola calcio. Lì dove inizia la carriera di chi si avvicina al pallone...
«La Federazione è intervenuta, ha creato i centri federali territoriali. Entro il 2020 ne avremo 200 su tutto il territorio nazionale: questo è il modello che adottano da tempo in Francia per lavorare coi giovani».
E sui campionati Primavera cosa si può fare?
«L’introduzione delle retrocessioni comporterà un agonismo maggiore: tra pochi anni chi sarà in alto in classifica saranno le società che operano meglio».
Ma la vera rivoluzione deve arrivare a livello dilettantistico. Lei è il responsabile della scuola calcio Olimpia Firenze: che situazioni vive?
«Troppo spesso ci sono famiglie pressanti coi figli. I genitori pagano una quota di iscrizione e pretendono di vedere il figlio giocare. Nascono le liti quando sono gli altri figli ad avere più spazio. E allora si litiga sugli spalti e si cercano alibi ma ci dimentichiamo che i primi a capire chi è più bravo sono proprio i bambini. Dobbiamo imparare a rispettare i verdetti del campo. A livello dilettantistico, per far crescere i nostri figli, e a livello universale per sostenere il nostro movimento calcistico. Non è giusto esultare quando si vince e fare la caccia alle streghe quando si perde. Dobbiamo capire innanzitutto cosa vogliamo che il calcio diventi per l’intera società».