Il centrodestra al tavolo E il centrosinistra a zero
Dopo la vittoria in Sicilia, nel centrodestra c’è una comprensibile euforia. Mentre nel centrosinistra si cerca, a fatica, una strategia.
Dopo la vittoria in Sicilia, nel centrodestra c’è una comprensibile euforia, anche se il rischio di esagerare potrebbe far commettere errori. L’euforia non è solo quella di Berlusconi, che imperversa in tv e si è persino iscritto all’elitario Twitter e torna a promettere le stesse cose che non è riuscito a mantenere per anni (ed è, tuttavia, molto più credibile di tanti sfascisti). È generalizzata, quest’arietta da vittoria annunciata, per quanto prematura, e per accorgersene basta farsi un giro e ascoltare gli incontri pubblici che i partiti di centrodestra stanno facendo. Come il convegno a Roma nei giorni scorsi a Palazzo Wedekind organizzato dalla Fondazione della libertà per il Bene comune del toscano Altero Matteoli e dalla Fondazione Magna Carta di Gaetano Quagliariello, con il centrodestra tutto schierato: Giovanni Toti (Forza Italia), Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia), Renato Brunetta (Forza Italia), Raffaele Fitto (Direzione Italia), Enrico Costa (Boh, ma non è una sigla) Massimiliano Fedriga (Lega Nord), Paolo Romani (Forza Italia). Varie componenti, molte anime, persino gente che se n’è andata via sbattendo la porta (Fitto appunto). Molto vaga tuttavia ancora la visione di questo centrodestra, dove Berlusconi è alle prese con l’operazione di accerchiamento lanciata da Salvini e Meloni. Il primo sbanda pericolosamente e strizza l’occhio ai Cinque Stelle, la seconda rivendica primogeniture sulle candidature in Sicilia e a Ostia. Berlusconi dice che il centrodestra moderato è l’unico possibile, gli altri due sono in trance sovranista. Chi prevarrà? In Toscana la sfida analoga è fra Stefano Mugnai, coordinatore di Forza Italia, Giovanni Donzelli di Fratelli d’Italia e la sindaca di Cascina Susanna Ceccardi. La competizione però per il momento sembrerebbe essere sana e persino produttiva, all’interno del centrodestra, visto come sono andate le ultime amministrative, purché i vari partiti accettino di rinunciare a un po’ di sovranità per selezionare i candidati migliori. Con il Rosatellum, che prevede una quota di seggi uninominali questa trattativa sulle candidature non sarà facile fra Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Ma un conto sono le elezioni locali, un altro conto sono le elezioni politiche, dove per esempio si discute di Europa e non di come asfaltare le strade. Insomma la sfida è difficile, ma provate a fare la stessa operazione con il centrosinistra. Che cosa potrebbe succede con un convegno o un dibattito pubblico in cui ci sono Pd, Mdp, Campo Progressista, Sinistra Italiana, Possibile? Anzitutto, già organizzarlo sarebbe impossibile. Sarebbe preceduto da interviste a colpi di cenciate in faccia fra Bersani e D’Alema e Renzi.
Il Pd da giorni insiste nel cercare un dialogo con i fuoriusciti. Ci sono stati incontri e colloqui, ma quel che resta alla fine è una profonda incomunicabilità. Anche perché l’unica cosa che parrebbe tenere insieme Pd e sinistre varie è la rinuncia di Matteo Renzi ad avere pretese di leadership. È certamente possibile che l’ex sindaco di Firenze in virtù della nuova legge elettorale rinunci all’automatismo previsto dallo Statuto del suo partito — il segretario del Pd è il candidato premier designato — ma come fa a fare campagna elettorale dicendo in partenza di essere fuori dai giochi? Non converrebbe a nessuno, tantomeno al centrosinistra. Parafrasando Andreotti, se Renzi è di media statura, non si vedono giganti attorno a lui. Un sondaggio Index Research pubblicato da «Piazza Pulita» giovedì scorso dice che Pietro Grasso, fresco fuoriuscito dal Pd e potenziale avversario di Renzi, ha il 15 per cento di consensi nell’elettorato di sinistra e centrosinistra. Anche Claudio Fava, candidato della sinistra in Sicilia, veniva dato al 20 per cento, e poi s’è visto com’è andata a finire (è arrivato dopo il già non eccellente Pd), perché un conto è la popolarità e un conto è la votabilità. Comunque, sarebbe assai interessante se dopo aver passato mesi a parlare di coalizioni e leader, il centrosinistra, la sinistra e la sinistra della sinistra, tutti con ottime probabilità di concorrere per la gloria della testimonianza e tutti divisi alla meta, spiegassero anche al loro elettorato perché non restare a casa alle prossime elezioni.
Perché se il centrodestra ha una coalizione ma non ha il programma, il centrosinistra non ha né la coalizione né il programma.
Berlusconi, Salvini e gli altri hanno una coalizione ma non un programma Renzi, Bersani e la sinistra non hanno né coalizione né programma