Dindo si fa in due all’Ort, sul podio col violoncello
Il musicista stasera al Verdi dirige anche l’orchestra
Violoncello o bacchetta? La domanda per ora Enrico Dindo non se la pone, anche se ammette che dividersi fra lo studio dello strumento e quello di una partitura orchestrale comincia a essere impegnativo in quanto a gestione del tempo. E comunque proprio in questa doppia veste, di solista e direttore, Dindo è ora per la prima volta con l’Ort (oggi, ore 21, al Verdi di Firenze, domani al Goldoni di Livorno), per un programma che guarda al Romanticismo in maniera diversa dal solito.
Sul palcoscenico anche i giovani archi del progetto formativo YoYo. «La giovanile Romanza di Richard Strauss, Le chant du Menestrel di Glazunov, il Rondò op. 94 di Dvorák sono tre pezzi che difficilmente si ascoltano, anche per via della loro brevità. L’idea è stata allora quella di metterli assieme come se ciascuno di loro fosse il movimento di un unico concerto per violoncello: il pezzo di Strauss ha in fondo le caratteristiche di un primo tempo, quello di Glazunov può essere il tipico movimento lento, e quello di Dvorák ha tutti i caratteri di un finale. E poiché mi piaceva proseguire con quel linguaggio, senza creare scossoni nel pubblico, ho scelto di chiudere la serata con la Prima di Schumann, la sua sinfonia meno eseguita ma che rimane un emblema del gusto romantico in musica».
Dindo è reduce dall’aver diretto nientemeno che il Requiem di Verdi, alla testa dell’Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione Croata di Zagabria, della quale è direttore musicale; e riconosce, con soddisfazione, che la sua attività di direttore d’orchestra — iniziata già anni fa, con I Solisti di Pavia — comincia a essere sempre più frequente. «È una sorta di arricchimento: sono nato musicista da camera, ho trascorso undici anni in orchestra alla Scala (come primo violoncello ndr), sono stato solista in concerti con orchestra, e poi ho finito col ritrovarmi sul podio a dirigere. E devo dire che il periodo trascorso fra le file di un’orchestra, in un continuo confronto con le diverse bacchette che si avvicendavano sul podio scaligero (Giulini e Muti, in particolare) mi ha insegnato molto come direttore: facendomi capire, a esempio, le diversità nell’uso di tempi veloci o meno, i differenti modi di articolare una frase musicale». Ma quanto l’essere violoncellista influisce sull’essere direttore d’orchestra? «Molto. Quando studio un brano al violoncello, il lavoro è personale, è una ricerca interiore. Quando prendo la bacchetta in mano, si tratta di comunicare, di condividere certe idee e certe convinzioni, che hai maturato suonando da solo, con gli orchestrali. La tecnica direttoriale poi l’apprendi grazie all’esperienza in orchestra. Oggi mi sento come un pilota, che prima di diventarlo ha però fatto il meccanico».
Trasformazioni «Oggi mi sento come un pilota, che prima di diventarlo ha però fatto il meccanico»