SE LE ECCELLENZE SONO ECCEZIONI
Un limite del sistema universitario italiano è nella sua difficoltà a recepire gli standard internazionali, specie nella valutazione. L’Anvur, Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca, istituita nel 2006, è stata e continua a essere oggetto di pesanti critiche, nel merito e sui metodi della valutazione. Ma secondo il presidente Andrea Graziosi, a quattro anni dalla prima valutazione, «si vede con chiarezza che sapere a priori che il lavoro di ricerca sarà valutato ha orientato l’azione delle università». Che le differenze si riducano e la qualità media della ricerca universitaria si sia innalzata è un bel segno di speranza. Specie per un’università come quella italiana, decisamente sotto la media Ocse per la percentuale di laureati e che ancora lo scorso anno risultava la più bassa in Europa con il 25,3% a fronte di una media del 38,7%. Ma anche lontana dai migliori centri internazionali di ricerca, con felici eccezioni, tutte toscane. Fa piacere trovare nella classifica dell’Anvur al primo posto la lucchese Imt (Istituzioni, Mercati, Tecnologie), decennale istituzione accademica pubblica che eroga dottorati e ricerche soprattutto sui sistemi economici, sociali, tecnologici e culturali. Segue la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, istituto universitario pubblico a statuto speciale che opera nel campo delle scienze applicate, con prevalenza nelle biotecnologie, nelle scienze mediche e nell’ingegneria industriale e dell’informazione. Terza la Scuola Normale Superiore di Pisa, un istituto di istruzione superiore universitaria, di ricerca e alta formazione a ordinamento speciale, fondato nel 1810 da Napoleone. Nessuna di queste tre «università» lo è in senso tradizionale. Tutte e tre puntano sulla ricerca e sull’alta specializzazione, scelgono i migliori studenti tramite rigorose selezioni, stringono solidi rapporti con i grandi centri dell’innovazione scientifica e tecnologica mondiale, e chi segue i loro percorsi di studio difficilmente rimane disoccupato.
Dovremmo chiederci perché il nostro sistema universitario è così distante da queste eccellenze toscane e perché i nostri giovani vanno a completare gli studi all’estero o vi trovano un lavoro adeguato alla loro professionalità. Lasciando al ministro Poletti le sue infelici battute, da lui peraltro corrette, chi trova una migliore affermazione universitaria e professionale all’estero non lo fa perché ha studiato male in Italia o perché i docenti non sono bravi.