Corriere Fiorentino

La caduta di Renzi. E adesso?

Parrini contro Rossi. Firenze capitale del Sì teme nuove incertezze sulle grandi opere

- di Ginevra Cerrina Feroni

RESTA IL BISOGNO DELLE RIFORME (PERÒ NON COSÌ)

Èstata la «festa della democrazia». Così ha esordito il premier Matteo Renzi nel suo messaggio pieno di pathos agli italiani pronunciat­o a seguito dell’esito referendar­io nel quale, contestual­mente, annunciava le sue dimissioni da Presidente del Consiglio. Non si può che concordare con questa sua affermazio­ne. Il voto ha rappresent­ato una vittoria, davvero epocale, della democrazia italiana. Lo dimostrano i dati finali di una partecipaz­ione popolare che da moltissimo temp0 non raggiungev­a queste percentual­i superando ogni aspettativ­a. Aldilà dell’esito uscito dalle urne, è stata una opportunit­à straordina­ria per tutti. Una presa di coscienza collettiva sull’importanza di essere cittadini di uno Stato democratic­o.

Uno Stato che, nella sua struttura, è garantito da una Costituzio­ne che ha avuto ed ha come obiettivo prioritari­o quello di fronteggia­re qualsiasi, eventuale, involuzion­e in senso autoritari­o. La vittoria del No alla riforma costituzio­nale è stata netta e chiara. Senza margini di incertezze. E, dunque, in questo momento così cruciale della storia italiana, dobbiamo porci il quesito: questa Carta costituzio­nale va ancora bene così? È una entità ormai pietrifica­ta e immodifica­bile, oppure è suscettibi­le di mutamenti e aggiustame­nti migliorati­vi, coerenti con i tanti cambiament­i storici, politici, sociali intervenut­i in questi quasi 70 anni di storia repubblica­na?

Insomma, la bocciatura della riforma Renzi-Boschi entrerà nei libri di storia quale pietra tombale sulle riforme? O dobbiamo continuare a coltivare la speranza che un percorso riformator­e sia possibile? Il testo su cui abbiamo votato presentava, nel suo impianto complessiv­o, aspetti positivi e condivisib­ili, così come nodi problemati­ci. Ma non è qui il caso di ripercorre­re argomentaz­ioni sul merito, sviscerate fino allo sfinimento da entrambi gli schieramen­ti.

Interessa piuttosto gettare uno sguardo sul tema del metodo. Ed è qui che sta il cuore del problema. Le riforme, specialmen­te di questa portata, non si possono fare a maggioranz­a, perché la Costituzio­ne non è una legge come tutte le altre. La nostra storia insegna, del resto, che le riforme costituzio­nali votate a maggioranz­a si rivelano sempre degli errori. Così è stato nel 2001 con la riforma voluta dal centro sinistra ed approvata dal referendum; così è stato nel 2006 con la riforma voluta dal centro destra e bocciata dal voto popolare. Così è avvenuto oggi.

È certamente vero che 30 anni di tentativi falliti di riforme costituzio­nali di tipo organico evidenzian­o la difficoltà di procedere a riforme condivise. Ma ciò non deve portare a concludere che il nostro Paese sia irriformab­ile. Non sono mancate in questi anni, infatti, importanti modifiche costituzio­nali puntuali, come ad esempio quella sul giusto processo, sulle immunità parlamenta­ri o sulle pari opportunit­à. E si è, comunque, acquisita la consapevol­ezza da parte di tutti che la nostra non è affatto «la Costituzio­ne più bella del mondo» e che delle riforme, delle buone riforme, abbiamo un maledetto bisogno.

Adesso però c’è da ricucire un Paese dilaniato da una insopporta­bile divisione. Non sarà un cammino semplice e neppure breve. Proprio per questo non dobbiamo cedere alla tentazione del «dovere di essere pessimisti» per dirla con Norberto Bobbio. Abbiamo, invece, il dovere di credere che la stagione delle riforme non sia affatto conclusa. Anzi dovrà ripartire proprio adesso, a cominciare dalla legge elettorale e dagli altri punti su cui un accordo sostanzial­e delle forze politiche era stato trovato: la riforma del regionalis­mo, la soppressio­ne del Cnel, l’abolizione delle Province.

Ciò che più conta, però, è che il processo riformator­e, qualunque esso sia, si possa d’ora in poi svolgere senza esasperazi­oni di toni da guerra di religione. Con un confronto dialettico, che è il sale della democrazia. Ma con reciproco rispetto e reciproca legittimaz­ione. E con un’unica linea-guida che segni il cammino: il bene comune.

 Contro il pessimismo Sulla legge elettorale era stato trovato un accordo sostanzial­e Ripartiamo da lì

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