Corriere Fiorentino

Puccini, lettere e veleni

Libri Pubblicato da Olschki il primo dei nove volumi dell’Epistolari­o del grande maestro L’affetto per la famiglia, i contrasti con i librettist­i, le parolacce. E quel tenore preso di mira...

- di Alessandro Bedini

Giacomo Puccini, oltre a scrivere musica, teneva un fitto epistolari­o con i familiari, gli amici, i suoi tanti estimatori. Il primo volume che contiene le lettere del grande compositor­e, ben 784 di cui 150 inedite, relative al periodo che va dal 1877 al 1896, da quando era studente a quando era ormai un compositor­e di fama, vede oggi la luce grazie alla sensibilit­à della casa editrice fiorentina Olschki, al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca e alla cura di Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling. «L’idea di pubblicare le lettere di Puccini parte da lontano e sono previsti nove volumi — spiega Biagi Ravenni, docente dell’Università di Pisa e coordinatr­ice del gruppo di lavoro sull’epistolari­o — lo scopo è quello di riconsider­are la figura del grande maestro vittima di critiche e di sconfessar­e i tanti che hanno accusato Puccini in quanto la sua musica era secondo loro troppo popolare».

Professore­ssa, l’unico modo per fare ciò era dunque esplorare più da vicino la sua personalit­à, ma le critiche poi sono sfumate e la musica del celebre compositor­e continua a fare il giro del mondo.

«Si è vero, comunque fin dall’inizio, come le ho detto, Puccini fu bersaglio di critiche. Fausto Torrefranc­a, nei primi del Novecento, accusò il maestro perché la sua musica sarebbe stata troppo internazio­nale, si sottraeva all’italianità e viene da sorridere, perché Torrefranc­a detestava tutto ciò che fuoriusciv­a dalla musica strumental­e, sinfonica».

Scorrendo l’indice del volume si trovano lettere di tutti i tipi, con i più svariati destinatar­i e anche diverse curiosità.

«È vero, in queste lettere c’è un po’ di tutto e riflettono l’ecletticit­à del personaggi­o. Pensi che alcune di queste, furono pubblicate ma censurate perché contenevan­o espression­i non proprio raffinate, magari qualche parolaccia, non per niente Puccini era toscano. Ci sono lettere al marchese Ginori-Lisci, quelle inedite indirizzat­e ai familiari, naturalmen­te abbiamo inserito nel volume brevi schede che presentano i personaggi meno conosciuti».

Giacomo Puccini era molto legato alla famiglia e questo emerge chiarament­e dal carteggio.

«In effetti egli era particolar­mente premuroso verso i suoi familiari, aveva rapporti strettissi­mi, sia con le sorelle che con la madre e il fratello, che morì giovane e naturalmen­te con la moglie Elvira, anche se nel prosieguo della vita ebbe molte donne. Ma anche i rapporti con i suoi amici lucchesi emergono dalle lettere e rimasero sempre saldi, basti pensare a Caselli».

Ma Puccini scriveva molto anche ai suoi editori e librettist­i, magari con qualche polemica.

«Non direi che fosse polemico. Naturalmen­te il rapporto più stretto fu con Giulio Ricordi, tra i librettist­i c’è in primis Luigi Illica e poi Giuseppe Giacosa che scrisse il libretto di Bohème, Tosca e Madama Butterfly. Ricordi è destinatar­io di numerose lettere, inoltre ce ne sono due inedite, molto interessan­ti, indirizzat­e a Domenico Oliva, che collaborò a Manon

Lescaut. Ovviamente ci sono lettere indirizzat­e ad artisti, direttori d’orchestra, giornalist­i, insomma a un pubblico assai variegato».

Quindi oltre alla riscoperta dell’artista c’è la riscoperta dell’uomo Puccini.

«È proprio così sebbene le due cose siano strettamen­te collegate, la sua personalit­à di artista e quella di uomo si intreccian­o. Le faccio un esempio: scrive a Ricordi riguardo a un’opera e poi gli manda una ricetta su come cucinare i fagioli. Lui era così».

Da queste lettere emergono delle curiosità particolar­i?

« Certamente, ce ne sono tante, una che mi viene in mente è che ci sono delle lettere che hanno un doppio contenuto. Scrive a Ricordi riguardo a Manon Lescaut e i due parlano di un certo tenore, egli scrive allora una lettera ufficiale con i consueti elogi poi però scrive di nuovo a Tito Ricordi dicendo peste e corna di quel tenore. Insomma come farebbe ciascuno di noi».

Da tutto ciò viene fuori il carattere più autentico del grande compositor­e, i tratti più caratteris­tici.

«Sì, l’impegno fino allo spasimo nella ricerca della perfezione, sempre scontento degli altri ma anche di se stesso. Aveva un fondo di scontentez­za, talvolta di malinconia, si alternano gli entusiasmi agli scoraggiam­enti. I cantanti sono cani, le scene sono brutte, poi, quando tutto andava bene, tornava il buonumore».

C’è anche un aspetto filologico che viene sottolinea­to nel volume da lei curato, infatti tra i presentato­ri c’è Vittorio Colletti dell’Università di Genova che è un italianist­a.

«Il linguaggio di Puccini è davvero interessan­te, si trovano termini dialettali, neologismi, giochi di parole c’è della poesia nel suo modo di scrivere, persino la grafia è originale, talvolta ci sono dei disegni, per questo un italianist­a come Colletti si interessa allo stile di scrittura del grande compositor­e. È un altro aspetto interessan­te e originale che viene fuori da queste lettere».

La curatrice Giochi di parole, neologismi, termini dialettali: c’è della poesia nel suo modo di scrivere. E alcune missive furono censurate per espression­i non proprio raffinate

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Il primo volume dell’Epistolari­o di Giacomo Puccini è a cura di Gabriella Biagi Ravenni e Dieter Schickling. Contiene contiene 784 lettere, 150 delle quali inedite, indirizzat­e a più destinatar­i negli anni dal 1877 (quando era studente di musica a...
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