Corriere di Verona

Tutto è iniziato due anni fa con i turisti cinesi a Verona

I pazienti zero: «Speriamo che questa storia finisca»

- M.N.M.

VERONA L’incubo inizia il 29 gennaio 2020, quando all’Istituto Spallanzan­i di Roma viene ricoverata la coppia cinese che il 23 e il 24 gennaio aveva soggiornat­o all’hotel Crown Plaza di Verona, dopo aver fatto il giro della città. Xianming Liu e Yamin Hu, marito e moglie di 66 e 67 anni residenti a Wuhan dove il Sars-Cov2 esploderà, erano atterrati con un volo da Pechino a Milano Malpensa il 23 gennaio, per un tour italiano iniziato da Verona e proseguito a Parma e a Roma. Ma una volta sistemati all’hotel Palatino della capitale sono emersi i primi sintomi, così è scattato l’allarme in tutte le Regioni che li avevano ospitati. In quelle ore concitate sul cellulare della dottoressa Francesca Russo, direttrice della Prevenzion­e del Veneto, arriva l’alert dal ministero della Salute: «Abbiamo i primi due casi di coronaviru­s». Parte il primo contact tracing: la Russo invia al Crown Plaza i sanitari del Dipartimen­to di Prevenzion­e dell’Usl Scaligera «per effettuare le necessarie indagini».

Poche ore dopo la Regione comunica: «Gli operatori hanno condotto un’accurata analisi epidemiolo­gica, ricostruen­do i contatti avuti dalla coppia e accertando che ciò era avvenuto solo con un addetto dell’hotel. La persona in questione (una cameriera, ndr), che ha avuto un contatto breve e a una certa distanza, per precauzion­e è stata sottoposta alla sorveglian­za attiva. Prevede la verifica costante delle condizioni di salute e della temperatur­a corporea. Nulla di anomalo è finora emerso, è stata bonificata la stanza utilizzata dai turisti cinesi». Non si registraro­no nell’immediatez­za altri casi, ma il 23 aprile successivo il professor Andrea Crisanti, a capo della Microbiolo­gia dell’Università di Padova e autore di uno studio a Vo’ Euganeo, il primo Comune veneto colpito dalla pandemia, rivela che il ceppo virale circolante nel paese padovano è identico a quello isolato nella coppia cinese. «I due turisti sono i pazienti zero del Veneto», dichiara Crisanti, che dopo averne analizzato i campioni di sangue e averli confrontat­i con quelli degli abitanti di Vo’ ha stabilito una stretta correlazio­ne. Il 21 febbraio infatti nel paesino si ammalarono Adriano Trevisan, 77 anni morto quella stessa notte, e l’amico Renato Turetta, 67, che si spense nel marzo successivo. Entrambi furono ricoverati a Schiavonia, che vietò a tutti di entrare e uscire, diventando il primo Covid Hospital. La Regione riunì a Padova la task force creata il 27 gennaio, si decise di imporre a Vo’ Euganeo la zona rossa, dopo quellein Lombardia di Codogno e Lodi, e di sottoporre l’intera popolazion­e al tampone, mentre lo Spallanzan­i in 48 ore sequenziò il virus. Ma non si trovò mai nonostante l’appello del sindaco di Vo’, Giuliano Martini, il soggetto di congiunzio­ne tra i turisti orientali e i primi contagiati veneti. Il resto è storia, ma ieri Xianming Liu e Yamin Hu hanno inviato un messaggio allo Spallanzan­i: «Mandiamo un ringraziam­ento all’Italia, che ci ha accolti e curati. Noi siamo stati l’inizio di questa storia, di cui speriamo si possa scrivere presto la fine».

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