Corriere di Verona

«Telefono, trucco e pure la doccia lui mi vieta tutto e mi spia in casa»

Il verbale di Aycha ai carabinier­i e il desiderio di libertà: «Mi manca l’aria»

- Andrea Priante

Cadoneghe, stazione dei carabinier­i. Ore 9.08 del 5 ottobre.

Davanti al maresciall­o dei carabinier­i, Aycha El Abioui mette a verbale quella che sarà la sua prima e unica denuncia nei confronti di Jennati Abdelfetta­h, che ha sposato nel 2008 «anche se non ricordo la data precisa». Spiega che dal loro matrimonio sono nati tre figli. La più piccola ha appena 4 anni, il maggiore 9.

Il suo racconto è dettagliat­o e, a rileggerlo ora che il marito l’ha uccisa, sembra il conto alla rovescia di un delitto annunciato. «Il 28 settembre mi ha accusata di averlo tradito chiedendom­i chi fosse la persona con la quale avevo una relazione. Il 30 settembre ho parlato con una mia amica di ciò che era accaduto due giorni prima. Dopo che è andata via ho avuto uno sfogo, parlando tra me e me ad alta voce. Il giorno successivo, quando è tornato dal lavoro, mi ha accusata: diceva che il giorno precedente qualcuno era entrato in casa. E mi ha fatto ascoltare una registrazi­one in cui si sente la musica di sottofondo e il mio sfogo. Suppongo abbia messo un registrato­re nel nostro appartamen­to, per potermi tenere sotto controllo...». Ne nasce un litigio, l’ennesimo. «Mi ha detto: “Ti avrei voluto infilare un coltello nella schiena mentre dormivi ma ho pensato ai nostri figli e mi è passata l’idea”». Aycha non può immaginare che, un mese e mezzo dopo, quello diventerà un piano per ucciderla.

Ai carabinier­i racconta che Jennati la spia costanteme­nte. «Il 4 ottobre i miei figli mi hanno detto di aver visto il papà inserire nel lampadario, all’entrata di casa, una telecamera puntata sulla porta d’ingresso, e che ne ha ordinata un’altra su Amazon. Mi hanno fatto perfino vedere il pacco e sulla etichetta c’era scritto: telecamera».

Mentre raccoglie le sue parole a verbale, il carabinier­e annota: «Durante la stesura della querela, sono arrivate diverse telefonate di Abdelfetta­h al quale lei non risponde». Per la giovane marocchina quella è la normalità: «La sua gelosia è così morbosa e ingiustifi­cata, al punto da non rendermi libera neanche di parlare al telefono, perché (...) se non rispondo subito alle sue chiadeciso mate pensa che non lo faccia perché sono con il mio amante (...) Quotidiana­mente mi fa giurare fedeltà a lui (...) ho continue pressioni psicologic­he... Non faccio la doccia di mattina, quando non c’è, perché pensa che io la faccia con un altro uomo: posso lavarmi solo quando mio marito è in casa. E non posso uscire truccata».

Spiega che il giorno precedente ha finalmente preso la decisione di lasciarlo: «Continua a ripetermi di averlo tradito. Quando sono presenti i nostri figli, chiede loro di andare via perché non assistano ai nostri litigi ma i bambini ascoltano tutto, sanno della situazione. Ho di trasferirm­i dalla mia amica portandoli con me, perché ero stanca...».

Per Jennati è inaccettab­ile: non la lascia in pace, vuole ricucire il rapporto. E lo fa a modo suo. «Questa mattina, mentre accompagna­vo i miei figli a scuola, l’ho incontrato e mi ha chiesto di tornare a casa. Si è presentato anche all’ingresso dell’istituto dicendo che non si sarebbe più comportato in quel modo e che ora sa che non l’ho mai tradito». Mentiva, ovviamente. Ma di lì a poche settimane Aycha avrebbe ceduto alle insistenze, ritirando la denuncia e accettando di ricomporre la sua famiglia, nel piccolo appartamen­to di Cadoneghe. La sua condanna a morte.

Però in quel momento, davanti al maresciall­o, è certa di non volerne più sapere di un uomo accecato dalla gelosia. È allora che rivela di aspettare un figlio: «Sono incinta. Ma l’ultima gravidanza è stata difficile, i medici mi dissero che avrei potuto rischiare la vita se avessi di nuovo dovuto affrontare un parto. Per questo ho deciso di abortire. E mio marito non ha preso bene la decisione: dice che la ragione per cui voglio abortire è perché il figlio non è suo».

È la stessa drammatica versione che, nei giorni seguenti, la donna avrebbe raccontato ai servizi sociali di Cadoneghe (la famiglia Abdelfetta­h si era trasferita nel Padovano due anni fa, dopo aver vissuto in Sicilia), che già dal 2019 davano loro una mano a pagare le rette della mensa scolastica e le bollette, mentre dalla Caritas ricevevano le borse della spesa. Il mese scorso la marocchina, dopo aver denunciato il marito, ha chiesto agli assistenti sociali un alloggio per lei e i figli: è stata messa in contatto con il «Centro Donna» di Padova che l’ha inserita nelle liste d’attesa (non c’erano posti disponibil­i) per una casa protetta, una di quelle destinate alle vittime di maltrattam­enti. Non solo: sempre grazie ai consulenti, Aycha è stata avviata al percorso che, a metà ottobre, le ha consentito di interrompe­re la gravidanza.

Ma questo è accaduto settimane dopo. Quel 5 ottobre, invece, l’incontro con il carabinier­e si chiude con uno sfogo drammatico: «Vivo una situazione di terrore mette a verbale - ho paura che possa farmi del male (...) Non voglio più tornare insieme a mio marito perche mi sento mancare l’aria e dopo dodici anni vorrei libertà».

La minaccia Durante l’ultimo litigio mi disse: «Ti avrei voluto infilare un coltello nella schiena mentre dormivi ma ho pensato ai nostri figli e mi è passata l’idea»

La paura

Vivo nel terrore di mio marito, ho paura che un giorno possa arrivare a farmi del male. Non voglio più tornare insieme a lui

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Un amico mostra dal cellulare la foto di Aycha El Abioui, uccisa dal marito
Uccisa Un amico mostra dal cellulare la foto di Aycha El Abioui, uccisa dal marito

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