Corriere di Verona

LE TRE «G» DELLO CHOC ECONOMICO

- Stefano Allievi

Ehanno monopolizz­ato per lunghe settimane il discorso e la produzione di conoscenza (o presunta tale), quasi senza contraddit­orio, a scapito delle tragedie che stavano avvenendo nell’economia e nella società, dove i non garantiti sono stati a lungo degli invisibili: una platea larghissim­a, ma quasi senza voce. Composta da tutti coloro che hanno perso lavori e lavoretti temporanei e a termine, i licenziati, i cassintegr­ati, gli imprendito­ri, artigiani e commercian­ti che sono stati obbligati a chiudere, senza più guadagni mentre le spese correnti si mantenevan­o quasi inalterate, i settori a contatto con il pubblico, dal turismo al mondo dell’arte e della cultura, ma anche le fasce tradiziona­lmente deboli e marginali della società, che vivono di lavoretti, di espedienti, di lavoro nero (e quindi non tutelato né quando c’è né quando non c’è più), gli immigrati (tra i quali il tasso di povertà era già prima quadruplo rispetto alle famiglie italiane), tutta quella fascia di società che sopravvive a cavallo tra emerso e sommerso, un po’ in regola e un po’ no. Se è vero che ci siamo impoveriti tutti di almeno il dieci per cento (ma crediamo che la percentual­e finale sarà molto più alta – il peggio deve ancora venire), tutto ciò è avvenuto in maniera profondame­nte diseguale, e ha aggravato ulteriorme­nte la già drammatica­mente diseguale struttura delle opportunit­à nel nostro paese.

La seconda «G» riguarda le diseguagli­anze di genere. Anche queste già ben visibili (prima della crisi eravamo all’82° posto nel Global gender gap index), ora si sono amplificat­e in maniera così evidente da rendere precarie anche le conquiste ottenute di recente. Come sempre, il costo vero delle scelte fatte e ancor più non fatte (si pensi al disinteres­se per la scuola e i bambini) si è scaricato soprattutt­o sulle donne, costrette a rinunciare a redditi già prima più bassi per occuparsi della prole, di cui improvvisa­mente non si è occupato più nessun altro, né istituzion­i né servizi.

Gli studi cominciano a denunciarl­o adesso, ma il problema ancora una volta era antecedent­e, con ritardi enormi su indicatori che non riguardano solo il benessere delle donne – che poi è il benessere delle famiglie e della società – ma anche le prospettiv­e demografic­he, che già erano una cappa cupa sul nostro futuro (in Italia si dimentica che i tassi di partecipaz­ione al lavoro delle donne e i tassi di fecondità sono intrecciat­i in positivo: per cui meno le donne lavorano, meno fanno figli, non il contrario). Ma i passi indietro sono stati anche in altri ambiti, dalla divisione dei ruoli alla violenza di genere: condannand­o metà dei membri della società a sostenere l’altra metà, implementa­ndo discrimina­zioni già impression­anti e mal comprese.

La terza «G» tocca le diseguagli­anze generazion­ali. Queste erano già gravissime prima, in un paese con la natalità più bassa d’Europa, il maggior disequilib­rio negativo tra nati e morti, l’età media più elevata, le proiezioni più drammatich­e nel rapporto tra popolazion­e attiva e pensionati (che potrebbe diventare di uno a uno tra poco più di vent’anni), la permanenza crescente dei giovani nelle famiglie d’origine (la più alta d’Europa: due terzi nella fascia 18-34 anni).

Queste diseguagli­anze sono aumentate drammatica­mente in pochi mesi. O qualcuno crede che la colossale perdita di ricchezza e l’immenso debito pubblico che abbiamo deciso di accollarci con le scelte emergenzia­li successive non li pagherà davvero nessuno? Il problema è che i garantiti, che sono soprattutt­o maschi e anziani, si sono effettivam­ente abituati così: a vivere nell’irrealtà di un privilegio già oggi pagato dalle generazion­i che seguono, e domani pagato ancora più salato proprio da chi sa già di essere destinato ad essere meno garantito di loro.

Ecco perché se non si affrontano questi nodi struttural­i, non ne usciremo. O si costruisce una visione capace di guardare oltre l’emergenza, o ci si resta. E l’arrivo delle risorse europee è forse l’ultima occasione per farlo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy