«Tutto partì da un baule di costumi»
Compagnie teatrali, agenzie pubblicitarie, ma anche chi vuole fare bella figura a una festa: tutti si rivolgono a lei. «Abbiamo dal genere western a Guerre stellari, fino al vestito di John Travolta»
Cappelli a cilindro, maschere, frac. È un mondo sommerso, quello di Dora Begalli; un rifugio del tempo, con le sue tracce, i suoi costumi. «Ne abbiamo a migliaia – spiega lei – porto avanti questa attività ormai da cinquant’anni: qui si possono trovare costumi di qualsiasi genere, dal carnevale al grande cinema ce n’è per tutti i gusti, e anche di più. Guardi, mentre le sto parlando, io sto pensando a un costume giusto per lei, con quella barba e i capelli neri…mah…mi lasci riflettere un attimo e qualcosa salterà fuori».
Il timore è che ci abbia preso per il Feroce Saladino, ma lasciamo che si prenda tutto il tempo necessario per emettere il suo insindacabile verdetto. «Dora Costumi», a due passi da piazza Cittadella, da anni è la Mecca per compagnie teatrali, agenzie pubblicitarie, o più semplicemente festaioli mondani: scopriamo
un angolo recondito di Cinecittà a Verona. Una storia, quella di Dora, che parte da lontano, molto lontano in una Verona martoriata dai bombardamenti: «Sono nata in Borgo Trento e cresciuta ai Muro Padri dove durante la guerra stavano i rifugi: uscivi di lì e le case non c’erano più. Siamo rimasti in città; la guerra con tutta quella sofferenza ti tempra e ti fortifica. Nelle persone nasce uno straordinario senso di solidarietà, che oggi vedo poco».
Papà Giovanni, capomastro, conduce la sua piccola impresa edile; mamma Teodora è a casa a badare ai quattro figli. Dora, che dà una mano al padre con i conti, conosce Rodobaldo - «Che nome, mio marito! Lo chiamavamo tutti Baldo» -, un reduce dell’Albania con i gradi di sergente maggiore, che trova impiego in polizia- «Ci sposammo nel 1946; nello stesso anno nacque Lucio, tre anni dopo Fabio».
Sono anni in cui più che un titolo di studio, serve rimboccarsi le maniche e portare a casa il pane, così i due fratelli aprono una polleria in Corso Portoni Borsari. Al primo piano, c’è una sartoria: «La signora Amalia insieme al marito Ugo, trattavano con filo e ago le divise militari degli ufficiali. Due persone molto cortesi, sempre disponibili nei confronti dei miei ragazzi al piano di sotto». Ma Ugo si ammala di tubercolosi: «Amalia, rimasta vedova, non riusciva più a star sola: aveva due figli che vivevano a Milano, veniva a mangiare e a dormire da noi nella nostra casa alla Fontana del Ferro: senza di me al suo fianco non ne voleva più sapere di andare avanti col lavoro. Divenni così il suo angelo custode, e iniziai a darle una mano in sartoria. Amalia aveva in casa un baule pieno di costumi; ancora non sapevo che tutto sarebbe partito dal suo contenuto». È il 1969, quando il proprietario del palazzo decide per la ristrutturazione: via tutti, si sgombera. Dora tuttavia non molla: «Mi proposero questo spazio in Via Terese: io e Baldo stavamo per partistar re per le vacanze in Turchia; corsi in banca a prelevare la caparra. “Tu sei matta. Vedrai in che guaio vai a cacciarti” mi diceva. Purtroppo aveva ragione lui; e infatti al ritorno, sorsero problemi per dei vincoli di cui non eravamo a conoscenza: li risolvemmo ma dovetti attendere due anni, prima di potermi trasferire qui. Entrammo nel 1972».
Si ricomincia dal baule di Amalia, colmo di abiti teatrali: «Erano tantissimi, passavi da Pierrot a Charlot; così ripartimmo. Qui c’è di tutto: da Adamo ed Eva a Via Col Vento, da Guerre stellari fino all’abito bianco di John Travolta nella Febbre del Sabato Sera; dal western al charleston». La dinamica è molto semplice: la gente chiede, magari con la foto di una su un giornale; Dora e suo figlio Lucio provvedono: «La clientela è molto esigente, la discrezione da parte nostra è garantita. Ci sono industriali di alto livello che arrivano a spendere cifre importanti (migliaia di euro, ndr) per le loro feste, qualcuno avanza pure richieste un po’ balzane: per una festa a Venezia ci chiesero di trovare quattro portantini per un baldacchino: il problema era che non dovevano superare i 90 centimetri di altezza. Indovini un po’ dove li andammo a pescare…»
Al circo? «Certo, e dove sennò? Gli pagarono vitto, alloggio e cinquecento euro al giorno». Dora i suoi invidiabili 92 anni li porta in carrozza con l’ironia e la saggezza di chi la vita l’ha vissuta e se l’è sudata: «Tutto partì da quel baule. Sono innamorata di questo lavoro, che faccio ormai da cinquant’anni. Veleggio verso quota 100. Di primavere eh…! - ride - Poi si vedrà». La lasciamo nel suo mondo con una domanda: «E il costume per noi?» «Un’idea ce l’ho, ma gliela dico la prossima volta. Così torna a trovarmi». (62. continua)